I primi villeggianti all’Argentario furono sicuramente
romani. Ma della Roma dei libri di storia, per intendersi. Erano costoro della
potente famiglia dei Domizi Enobarbi, ricchissimi banchieri e commercianti a
tempo pieno, ma talvolta, quando se ne presentava l’occasione, anche consoli ed
imperatori (Nerone).
Tra i loro vari possedimenti (praedia) sparsi per la
penisola ve n’era uno che pare comprendesse la bassa valle dell’Albegna, il tombolo della Giannella, la
costa settentrionale dell'Argentario e le isole del Giglio e di Giannutri.
Su questi possedimenti erano molto attive
alcune importanti attività ittiche e produttive, probabilmente di loro diretta proprietà, che consentivano agli Enobarbi un fiorente commercio
con l’interno e verso l'esterno, la
Gallia soprattutto.
Quasi certamente erano
presenti: una salina presso l'Albinia,
fornaci per la produzione di anfore e ceramiche sempre presso l’Albinia, una
tonnara sullo specchio di mare antistante l'attuale Porto Santo Stefano, ed altre minori nei dintorni, ed
importanti impianti (cetariae) per la salagione e conservazione del pesce e per
l'ottenimento di quel garum di cui i
romani andavano matti.
Di notevole rilevanza era la produzione vinicola nella bassa valle dell'Albegna che consentiva agli Enobarbi ed ai Sesti, loro vicini di casa e proprietari di una vasta parte dell' ager cosanus, un fiorente e redditizio commercio con le province romane.
E sui litorali di quei possedimenti gli Enobarbi amavano
costruire, qua e là, villae maritimae
in cui ritemprare il corpo e lo spirito affaticati dall’intenso lavoro, dall'aria
non sempre salubre dell’Urbe, e forse da uno stile di vita non proprio francescano. E per
unire al dilettevole anche l'utile, il soggiorno in villa consentiva di
controllare da vicino le attività produttive che avevano in loco e di
realizzare in un ambientino decoroso proficui incontri conviviali con amici e
conoscenti, ovviamente di pari lignaggio.
Le ville di Santa Liberata, di Giannutri e del Giglio sono
le più famose fatte erigere dagli Enobarbi sull'Argentario e dintorni.
Costruite in differenti momenti tra il I sec a.C. e il I d.C
e variamente ristrutturate nei secoli successivi, erano quanto di più raffinato ed efficiente
l’ingegneria romana del tempo potesse esprimere.
Oltre alle ville ed agli impianti ittici e produttivi,
sull’Argentario e territori limitrofi erano presenti piccoli porti ed approdi attrezzati per lo
scalo di navi commerciali, militari e private.
Un portolano del III sec. d.C. (Itinerarium Antonini) cita: Portus
Herculis, sulla costa meridionale dell'Argentario, eredità degli Etruschi che lo utilizzavano insieme al Portus
Cosanus dell’Ansedonia, il Incitaria portus, sulla
costa settentrionale, dove adesso è Porto Santo Stefano e la stessa Domitiana positio a Santa Liberata.
Vi erano poi gli
approdi di Dianium e di Igilium sulle isole di Giannutri e del Giglio e, di fronte alla costa settentrionale dell'Argentario, la Alminia positio alla foce dell'Albegna e il Talamonis portus.
Alla morte di Nerone, rampollo emerito della Gens Domitia, tutte le proprietà dei Domizi Enobarbi , e quindi anche l'Argentario, furono assorbite nel patrimonio imperiale. Nulla cambiò per il Promontorio ed i suoi inquilini così come nulla cambiò quando agli inizi del II secolo d.C. l'imperatore Traiano lo regalò in dote nuziale a sua nipote Vibia Matidia che se n'era innamorata per la bellezza dei suoi lidi e la magnificenza delle sue ville.
A lei si deve il primo nome certificato del promontorio: Insula Matidiae.
E' con esso infatti che in un passo del Liber Pontificalis viene donato nel 312 d.C. dall'imperatore Costantino alla Basilica dei Santi Pietro e Marcellino di Roma. Per l'Argentario ha inizio un'altra storia.
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