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Porto Santo Stefano da ricordare

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Incitaria portus

 

E’opinione consolidata di studiosi ottocenteschi e successivi che il sito marittimo indicato nel Itinerarium maritimum Antonini del III sec d.C. con il nome Incitaria Portus sia lo stesso in cui sorse in tempi molto posteriori l’attuale Porto Santo Stefano. Inducono a questa conclusione le vestigia archeologiche ancora visibili in abbondanza fino al 1800 sul Colle dei Muracci e altrove, documenti e considerazioni ambientali e di continuità storica con quanto sicuramente accertato in epoche successive.

La costa settentrionale dell'Argentario, da Santa Liberata a Porto Santo Stefano era, in età tardo repubblicana e successivamente imperiale, tutt'altro che un deserto boschivo incontaminato. Vi erano certamente due importanti ville marittime con i relativi approdi per il traffico marittimo (Santa Liberata e Colle dei Muracci) e molto probabilmente tonnare stanziali ed impianti per la lavorazione del pesce.

Sebbene non esistano documenti che lo attestino in modo inconfutabile, salvo un vago accenno di Strabone a proposito di Cosa, è molto ragionevole pensare che la pesca del tonno all'Argentario, sicuramente praticato dagli albori di Porto Santo Stefano nel 1700 a tutto il 1800, lo fosse anche dai romani e fors'anche dagli etruschi che ben conoscevano questi lidi e le loro potenzialità di pesca. (La "predisposizione" delle acque dell'Argentario alla pesca del tonno è attestata, tra l'altro, dalla toponomastica di alcuni luoghi: Via dei tonni, alla Pilarella, e Cala dei tonni alla Bionda)

Poco lontano dalla tonnara, sul litorale del Valle, con altrettante probabilità era attivo un impianto per la lavorazione e conservazione del pescato: tonni provenienti dalla tonnara ed altro. In questo, cetariae per i romani, il pescato veniva lavorato e la parte eccedente il consumo immediato, sottoposta a salagione per la conservazione ed il commercio. Parte del pescato veniva utilizzato per l'ottenimento del garum, una salsa molto diffusa sulle mense dei romani.

La presenza delle cetariae al Valle è da ritenere certa, oltre che per il nome stesso del sito (incitaria portus > in-cetaria portus) ed il rinvenimento di parti di anfora con ossa di tonno ai Muracci, anche per la posizione molto favorevole per un impianto di questo tipo: a ridosso di una grande tonnara e vicino all’Albinia dove  si trovavano, verosimilmente, una salina in grado di fornire la grande quantità di sale necessaria, e, con certezza, alcune fornaci per la produzione delle anfore necessarie alla conservazione e commercio dei prodotti. Le fonti dell'Appetito inoltre potevano assicurare l'acqua in abbondanza necessaria per la lavorazione del pescato.

 

Le cetariae romane erano stabilimenti per la lavorazione e conservazione del pesce. Elemento caratteristico dello stabilimento erano le numerose vasche disposte in file parallele in prossimità del mare in cui il pesce veniva lavorato e sottoposto a salagione.

Numerosissime erano le cetariae sulla penisola, ma le più importanti si trovavano sulle due sponde dello stretto di Gibilterra e sulle coste maghrebine

Vestigia di cetariae sulla costa portoghese

(1)

Rappresentazione della lavorazione alle cetariae

(2)

 

Il garum era una salsa, apprezzatissima dai romani, ottenuta dalla macerazione del pesce e delle sue interiora in presenza di un antisettico, il sale. La preparazione, normalmente effettuata al calore del sole, poteva anche essere accelerata artificialmente mediante un impianto di tipo termale o ricorrendo alla cottura in apposite marmitte.

Il garum veniva ottenuto con qualunque tipo di pesce, ma il più apprezzato era ricavato dalla macerazione di interiora e sangue di tonno. La macerazione al calore del sole durava circa due mesi.

Al termine della macerazione il garum veniva filtrato così da ottenere due prodotti: il flos gari (fiore di garum), più pregiato e costoso, ed il liquamen gari, meno pregiato.

Il prodotto veniva confezionato e sigillato in anfore di dimensioni limitate ed immagazzinato per il commercio

La presenza della tonnara e delle cetarie al Valle comportava che altre costruzioni o strutture fossero edificate nelle immediate vicinanze a loro supporto: magazzini per la conservazione del pescato, del sale necessario, delle anfore per la conservazione e trasporto,  e tutto quello, più genericamente, necessario alla manutenzione della tonnara, al  funzionamento delle cetarie e per la sussistenza delle persone addette ad entrambe.

Non lontano dalla villa dei Muracci, a poca distanza dal mare, si trovava la discarica delle anfore ed altro materiale, come attestato dai numerosissimi reperti venuti alla luce nei secoli scorsi

La mappa, opera di un autore dei primi anni dell'800, rappresenta il Valle a Porto Santo Stefano

con indicate in rosso le strutture di epoca romana

Villa dei Muracci

Sul colle dei Muracci, dove adesso è Villa Varoli ed in precedenza Villa Pollette, era edificata una villa maritima della famiglia dei Domizi Enobarbi.  Lo attestano in modo inequivocabile le numerose vestigia archeologiche ancora visibili ed abbondanti fino all'inizio dell' 800.

La villa era costruita su più livelli degradanti a mare. La parte residenziale si trovava a monte, con antistante un'ampia loggia arredata con statue ed altri ornamenti architettonici, mentre su un livello inferiore si estendeva un ampio piazzale. Costruzioni di sussidio: magazzini, cantine, quartiere per la servitù si trovavano invece a ridosso della costa. Il complesso della villa comprendeva molto probabilmente un piccolo centro termale, bagni, peschiera per l'allevamento dei pesci ed un approdo autonomo.

 

E' difficile stabilire la relazione tra la villa e le strutture ittiche e portuali antistanti.

L'immediata vicinanza tra loro fa pensare che anche queste ultime rientrassero tra le proprietà dei Domizi Enobarbi e che tutte costituissero un unico complesso, non solo residenziale, quindi, ma nel contempo residenziale e produttivo, di cui gli inquilini della villa, proprietari od amministratori, fossero i gestori.

E' ragionevole altresì ipotizzare un legame tra la villa di Santa Liberata e quella, a brevissima distanza, dei Muracci. Oltre a risultare entrambe "di famiglia", è verosimile che la seconda, sensibilmente più piccola dell'altra, fosse una sorta di "dependance" della prima che consentisse di controllare da vicino le attività produttive sul tratto di mare e territorio antistanti.

 

Fonte:

Intorno alla produzione di sale a Populonia e nell'ager cosanus: due casi a confronto- Cristina Carusi  ed. ETS  (2008)

Le fornaci di Albinia e la produzione di anfore nella bassa valle dell'Albegna - D.Vitali, F.Laubenheimer, L.Beuquet,

E.Cottafava, C.Calastri (2005)

Immagini:

(1) Vestigia di cetariae sulla costa portoghese: Portugalromano.com

(2) Rappresentazione della lavorazione alle cetariae: duendeandotv.es

 

2008 - Capodomo - di Raul Cristoforetti