Il rospo principe Il babbo, scriteriato e senza troppo cervello, in casa ci stava proprio pochino. La maggior parte del tempo lo passava su un tronco galleggiante a gonfiarsi per farsi bello e a gracidare alla luna insieme agli altri maschi dello stagno. Mamma rospa al contrario faceva vita ritirata, o a tenere in ordine la casa sotto la radice del vecchio salice o ad accudire il figlio pargoletto. E la sera mentre il marito si ritrovava con gli amici a far baldoria, lei pazientemente si sedeva accanto al suo piccolo, e prima di addormentarsi gli raccontava una fiaba. Che puntualmente, su richiesta dell'interessato, era quella della bella principessa e del suo principe azzurro trasformato in rospo da una strega cattiva. Quella fiaba al figlio piaceva moltissimo, colpiva la sua fantasia. E lui, rospetto ingenuo e suggestionabile, si immedesimava con il protagonista, prima principe, poi rospo, ed alla fine, dopo il bacio liberatorio della principessa, ancora e definitivamente principe. E lo faceva con così tanta partecipazione che alla fine di ogni racconto della mamma stentava a rientrare nella realtà. Qualcosa del protagonista di quella fiaba gli rimaneva dentro. Ogni volta di più. Sempre più principe-rospo e sempre meno semplice rospo di quel piccolo stagno sperduto nella brughiera, da sempre residenza della famiglia. La mamma, accortasi dell'influenza nefasta della fiaba e dello strano cambiamento del figlio, cercò di correre ai ripari, ripiegando su altre fiabe del suo repertorio. Provò allora con Cappuccetto Rosso e il lupo cattivo, Biancaneve e i sette nani, Cenerentola, ed altre ancora. Non ci fu niente da fare. Lui voleva quella, sempre e soltanto quella. Ormai il guaio era fatto. Il figlio, inequivocabilmente rospo da immemorabili generazioni, si era ormai convinto di essere in realtà un principe che il sortilegio di una strega irresponsabile e cattiva aveva costretto in quel corpo palustre decisamente sgradevole. La famigliola sprofondò nello sconforto, ma per amore del figlio si adeguò sperando che col tempo la fissazione sarebbe passata. Mamma rospa, per venire incontro ai capricci del pargoletto, con la pazienza di sempre, ricamò una coroncina su tutti i suoi vestitini, rigorosamente azzurri, mentre il babbo, in forte imbarazzo di fronte agli altri maschi dello stagno, rinunciò a un paio di convegni serali con gli amici per disegnare un'insegna regale all'ingresso di casa, sotto la radice del salice. Trascorsero gli anni. La fissazione, anzichè passare, si consolidò definitivamente. "Non posso giocare con voi, io sono un principe." "Non è bello gracidare alla luna come voi, io sono un principe." "Quando mi incontrate, dovete lasciarmi passare, io sono un principe." Gli altri rospi dello stagno, suoi coetanei, non ne potevano più. Quel rospo, che invece di saltare come loro, rotolarsi nel fango, gonfiarsi e gracidare alla luna, se ne stava tutto il giorno su una ninfea col nasino all'insù non lo sopportavano proprio. Decisero di ignorarlo. Altri anni passarono. I suoi coetanei, chi prima chi dopo, e senza pensarci troppo, misero su famiglia con le rospotte dello stagno. "E' il momento che anche tu metta su famiglia" suggerivano stancamente i genitori, ormai vecchi, sperando che le gioie del matrimonio potessero, non si sa mai, riportare il figlio alla ragione. "Sposarmi? E con chi? Con una di queste rospe? Io sono un principe, devo sposare una principessa!" Ma i vecchi genitori avevano ragione, doveva pensare al matrimonio. Prima però doveva riacquistare le sue vere sembianze. Quelle che la strega maligna gli aveva tolto tanti ani fa trasformandolo in rospo. Le sembianze di un principe. Occorreva urgentemente il bacio liberatorio di una principessa. Impresa difficile, ma non impossibile. Lui era pur sempre un principe e baciare un principe era il sogno di tutte le donzelle in età da marito. Il problema, se mai, era dove trovare una principessa. Si decise. Un giorno preparò un fagottino con le sue cose indispensabili, salutò babbo-rospo e mamma-rospa e, tra il sollievo di tutti i rospi dello stagno, partì alla ricerca della sua liberatrice... "Le principesse vivono nei castelli.." raccontava la mamma nelle sue fiabe. Bastava quindi trovare un castello. Ma quelli che trovava sulla sua strada o erano disabitati e in rovina o senza una principessa in età da marito. Finalmente però dopo tanto vagare, venne a sapere da un rospo vagabondo che un castello con principessa c'era. Ai confini della contea, con tanto di fossato pieno d'acqua e ponte levatoio. Un castello in regola, insomma, come quelli di cui si parla nelle fiabe. Ancora qualche giorno di cammino ed il castello fu finalmente raggiunto. La ricerca era terminata, con tanta fatica ma con successo. Restava il bacio. La mattina seguente il rospo aspirante principe si presentò all'ingresso del castello e con fare cerimonioso gracidò che gli aprissero il portone perchè voleva parlare con la principessa. Si affacciò un servitore e, per tutta risposta, con una pedata lo scaraventò nel fossato. "Bifolco - pensò il rospo - quando sarò principe ti farò frustare." Ripetè la richiesta nel pomeriggio. Si affacciò un altro servitore, ma la risposta fu la stessa, una pedata e tuffo nel fossato. "Villano - pensò il rospo - quando sarò principe ti farò impiccare." Provò ancora il giorno seguente sperando che nel castello ci fosse almeno un servitore con un po' di cervello che capisse che lui, principe, non poteva essere trattato in quel modo. Se chiedeva di parlare con la principessa la sua richiesta doveva essere prontamente esaudita. Non fu così. La risposta ad ogni sua richiesta era sempre la stessa, una pedata e un tuffo nel fossato. Capì che occorreva cambiare strategia. Occorreva un approccio diretto con la principessa. Lei avrebbe capito. Approfittando di un momento in cui il portone era aperto, si introdusse nel castello e si nascose dietro un'armatura. Aspettò la notte. Quando il silenzio regnò sovrano nel castello, pian piano, saltellando di qua e di là cercò la camera della principessa. Vi si introdusse furtivamente.Poi, mentre lei dormiva nel suo baldacchino regale, le saltò addosso e, con quanto fiato aveva in gola, gracidò: "Ti amo, ti amo. Io sono un principe. Baciami ed ti sposerò" L'urlo che seguì rintronò in tutte le sale del castello, nelle stanze della servitù fin dentro le scuderie. Soldati e servitori irruppero nella camera, dove la principessa, in piedi sul letto, indicava inorridita il rospo gracidante ai suoi piedi. Il povero rospo fu afferrato e senza troppi complimenti scaraventato dalla finestra nell'acqua del fossato sottostante. Si arrese. Capì che principe era e rospo sarebbe rimasto per tutto il resto della sua vita. Tornò allo stagno natio. E la sera, insieme agli altri rospi, si mise anche lui a gracidare alla luna. Loro per la felicità di essere rospi, lui per l'infelicità di essere principe
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