Il marinaio

Il paese gli piaceva così silenzioso e deserto, alla luce dei lampioni. Addormentato.

Era ancora notte fonda quando usciva di casa, accostando piano la porta per non svegliare nessuno. L'andatura era svelta e spedita con le mani insaccate nelle tasche del giubbotto sdrucito e, d'inverno, un cappellaccio nero tirato giù fino agli occhi. La stessa stradina scoscesa, la scalinata ripida e scivolosa per la guazza della notte, e giù in fondo il porto, con le paranze all'ormeggio addossate l'una all'altra come cuccioli infreddoliti.

Così da una vita. Una vita da marinaio.

"Farai il pescatore e comanderai una paranza" gli diceva da ragazzo suo padre.

Così era stato e con l'aria che si respirava in famiglia non poteva essere diversamente.

Angelina, dal nome della nonna paterna. Era questo il suo nome, scritto a grosse lettere azzurre sul bianco sporco della poppa. Discesa la scalinata che conduceva al porto, era subito lì a pochi passi, immobile e silenziosa, quasi assopita dopo una lunga attesa.

Dalla passerella consunta e scivolosa l'accoglieva il ponte bagnato di guazza e di mare, con le reti accatastate e le cime avvolte alla rinfusa. Tre gradini più su la piccola cabina, fredda e disadorna, con la caffettiera già pronta in un angolo e un santino della Madonna appuntato a una parete.

Davanti a prua, appena rischiarata dalla poca luce che vi giungeva dai fari del piazzale, la bocca del porto si spalancava sul mare aperto, nero, invisibile, silenzioso.

Poi arrivavano gli altri due. Sempre insieme. Uno poco più che un ragazzo, che di scuola non aveva voluto saperne ma che di motori ne sapeva come pochi, e l'altro quasi un vecchio, cugino di suo padre, che Angelina l'aveva vista nascere sugli scali del cantiere.

Erano il suo equipaggio, piccola famiglia.

Al pulsare cadenzato del motore Angelina si ridestava. Poche luci si sul ponte e sull'albero a prua, voci consuete. Poi d'improvviso lo sferragliare sgangherato della catena dell'ancora squassava il silenzio del porto. Angelina si preparava ad uscire. Lo diceva alle altre paranze, in attesa o in procinto di seguirla, lo diceva ai paesani addormentati, lo diceva alla vecchia fortezza che dal poggio vegliava sulle case e la chiesa più in giù.

Infine, lentamente, Angelina si staccava dal molo. Sostava qualche istante più in là. Si avviava verso il mare aperto, nero, invisibile, silenzioso.

"Chi sei?"

L'uomo, rimanendo appoggiato al bordo, voltò il viso verso Nicola.

"Un marinaio. Un marinaio come te." disse semplicemente, come se fosse la cosa più ovvia di questo mondo. Indossava un impermeabile nero di incerata, con un cappello a falda larga che dietro gli scendeva fin sulle spalle. Nicola non ricordava di averne mai visto uno simile. Una folta barba era tutto ciò che l'oscurità lasciava trapelare del viso.

"Che ci fai qui a bordo? Quando sei salito? Io non ti conosco, non ti ho mai visto."

"Certo che non mi conosci. - rispose piano lo sconosciuto - Non sono di qui. Ma non temere, fra qualche minuto me ne andrò. Non c'è bisogno che tu dica niente a nessuno."

Tornò a voltarsi verso il mare.

"Che ci fai qui a bordo? - ripetè Nicola per niente rassicurato dalle parole dello sconosciuto - Che sei venuto a fare?"

"Niente. Avevo voglia di vedere il mare." rispose quello senza voltarsi.

Nicola tacque per qualche istante. Quell'uomo con l'impermeabile nero doveva essere pazzo.

"Questa poi! Dici di essere un marinaio e hai voglia di vedere il mare! Il mare dovrebbe esserti venuto a noia. Ma non c'è il mare dalle tue parti? Ma in che mondo vivi?"

"Non sono di qui. Il mare dalle mie parti è diverso. Avevo voglia di vederlo da qui, dalla prua di questa barca. Avevo voglia di vederlo con i vostri occhi. -

Lo sconosciuto tornò a voltarsi verso Nicola. - E volevo parlare con te." aggiunse.

"Pazzo. Decisamente pazzo. Sarà meglio avvertire gli altri." pensò Nicola indietreggiando di qualche passo verso la porta della cabina.

L'uomo, mettendo le spalle al mare, si volto completamente verso Nicola. Poi, con fare rassicurante, gli fece cenno di avvicinarsi.

"Ma di che hai paura? I marinai sono come fratelli. Non sono pazzo come pensi. Vieni qui accanto a me e lascia che ti spieghi."

Nicola era completamente frastornato. Sperò vivamente che qualcuno dell'equipaggio si facesse vivo per trarlo da quella situazione assurda. Ma a bordo, tranne il monotono pulsare del motore, tutto era avvolto dal silenzio e dall'oscurità.

All'orizzonte, verso est, cominciava ad albeggiare su un mare livido e cupo.

Nicola, con molta circospezione, si avvicinò allo sconosciuto. Lo rassicurava in parte il suo aspetto indubbiamente da marinaio, ma lo inquietava il non riuscire a vedere i suoi occhi, sprofondati nell'oscurità che la falda del cappello gli proiettava sul viso..

L'uomo tacque per qualche istante, come se pensasse al modo migliore di spiegare qualcosa di molto difficile a capirsi. Poi riprese:

"Vedi, io ho passato tutta la mia vita sul mare. Io, il mare, lo conosco bene.

Ero appena un ragazzo quando ho cominciato a navigare. Sono diventato un giovanotto ed ho sposato una del mio paese. Ho avuto tre figli, che, come me, hanno preso la via del mare. Poi ho cominciato a invecchiare.

E sempre il mare è stato con me. Per me è stato padre e madre, fratello.

Sul mare non mi sono mai sentito solo.

Anche tu sei un marinaio e sai quello che voglio dire.

Il mare ci parla. Se sappiamo ascoltarlo con animo aperto e libero, il mare ci parla. A volte però i nostri affanni, le nostre preoccupazioni ci rendono sordi. Talvolta siamo distratti. Il mare ci parla allora, ma noi non udiamo le sue parole.

Quando tu mi hai visto a prua, stavo ascoltando il mare, come tanti anni fa, non ricordo nemmeno quanti. E lui era inquieto, nervoso e molto triste.

Vedi, laggiù a sud? Il cielo anzichè rischiararsi, sta diventando sempre più nero. Non vedi come è livido e cupo il mare?

Fra non molto qui ci sarà un tremendo fortunale... Qualcuno non tornerà.

Il mare lo sa. E per questo è inquieto e triste. Lo sa, ma non può far nulla per evitarlo.

Il mare ci parla, ma noi spesso non sappiamo ascoltarlo.

Era una notte come questa, ed era uno dei miei ultimi viaggi su quella nave. La Giorgina, così si chiamava. Eravamo in otto. La tempesta ci colse all'improvviso."

Lo sconosciuto tacque e rimase a guardare il mare di fronte a sè.

Nicola aveva ascoltato in silenzio. La sua diffidenza verso quell?uomo con l'impermeabile di incerata nera era completamente scomparsa. Quell'uomo non era uno sconosciuto. Certo non sapeva di dove fosse e da dove venisse, se fosse veramente un uomo o un fantasma e quale sortilegio l'avesse condotto fin lì ma certo era un marinaio. O forse lo era stato. Non era uno sconosciuto, era come lui.

Stava istintivamente allungando una mano per toccare quell'incerata nera, quando un rumore sordo e irregolare del motore da sotto coperta, lo richiamò bruscamente alla realtà. Lasciò l'uomo e si calò prontamente da basso. Poco dopo il rumore ritornò ritmico e rassicurante.

Quando Nicola risalì in coperta a prua non c'era più nessuno. Si diresse allora là dove si trovava quell'uomo, e , appoggiandosi al bordo, guardò verso sud, dove l'alba non riusciva a rischiarare il cielo. Guardò il mare. Veramente quell'uomo aveva ragione. Il mare era inquieto, nervoso e molto triste.

Esitò un attimo, poi si volse e si diresse risoluto verso la cabina di comando.

 

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