L'isola

Quell'isola lo aveva sempre affascinato. Lontana e misteriosa, si svelava soltanto di primo mattino dopo una nottata di acquazzoni o di fredda tramontana.

Lontana dal trambusto, dal rumore degli uomini, dal loro frenetico vivere quotidiano.

Molte volte d'inverno, quando la tramontana ripagava del freddo tagliente svelando l'arcipelago in tutto il suo splendore, aveva risalito il Monte al solo scopo di osservarla meglio, di scrutarla con attenzione per cercare di carpire qualcuno dei suoi segreti, per scoprire la ragione del suo mistero.

Col passare degli anni gli si era insinuato nella mente il dubbio che là in quella cattedrale di granito avvolta dalla nebbia che solo raramente si mostrava al suo sguardo, Dio avesse celato le risposte a tutti i perchè degli uomini. Custodita in uno scrigno, da qualche parte e in una forma che non sapeva, doveva esserci la chiave che apriva la grande porta dell'Universo.

Giovanni era un pescatore e metà della sua vita l'aveva passata in mezzo al mare, dapprima insieme a suo padre, poi da solo. A differenza degli altri pescatori del paese che in gruppi di due, tre o quattro affrontavano il mare aperto su barche grandi ed attrezzate alla ricerca di pesce abbondante e pregiato, lui andava per mare sempre da solo, senza allontanarsi mai troppo dalla costa. Si contentava di un po' di pesce da frittura e qualche polpo per mandare avanti la famiglia. Niente di più. Uno scassatissimo motore per la barca era l'unico lusso che si era permesso, indispensabile, data l'età per raggiungere il luogo di pesca. Salvo poi spengerlo ed andare a remi una volta sul posto.

Preferiva così. Non che disdegnasse la compagnia degli altri paesani. Erano la  sua gente. Con loro si ritrovava il tardo pomeriggio sulle panchine del porto per parlare di cose di mare e del paese.

Giovanni però era un po' diverso dagli altri.

Mentre loro sfuggivano per quanto possibile la solitudine cercando la compagnia dei compaesani, per lui c'era un tempo per l'una ed un tempo per l'altra.

Starsene un po' da solo gli era necessario. Ne aveva bisogno per osservare il mondo intorno a lui, per porsi le domande di sempre a cui da sempre non sapeva dare risposta, per riflettere, per dar briglia sciolta alla sua fantasia. La compagnia degli altri non gliel'avrebbe consentito. Loro avevano interessi diversi. A loro piaceva conversare, discutere ..

Un po' da solo, a tu per tu col mondo e con se stesso... ne aveva bisogno.

Era sempre stato così. Taciturno e curioso di tutto.

"Babbo, perchè il mare è azzurro?"

"Perchè le anatre volano tutte in fila?"

"Come fanno i gabbiani a dormire in piedi senza cadere?"

"Da dove viene la pioggia?"

Ad alcune domande il babbo sapeva dare una risposta, ad altre no. Quel figlio così strano lo sconcertava. Guardandolo mentre pescava, assorto nei suoi pensieri o col naso all'insù a osservare le nuvole o i gabbiani in volo, si chiedeva spesso se crescendo sarebbe mai diventato un buon pescatore, come tutti in paese di generazione in generazione.

Ma Giovanni le sue risposte le voleva e dove non arrivava con la ragione, suppliva con la fantasia .

Come tutti quando si è molto giovani, quando di tutto si è curiosi e tutto ci stupisce, quando la fantasia non conosce barriere e confini.

A differenza degli altri però che crescendo cominciano ad invecchiare e si rinchiudono in un mondo sempre più piccolo e grigio, Giovanni era rimasto bambino. L'unica differenza rispetto a prima, quando pescava in barca con suo padre, era che alle domande di allora col tempo se n'erano aggiunte altre, ben più impegnative, alle quali, come allora, cercava di dare una risposta, molto spesso invano.

Il tempo della pesca, solo in mezzo al mare, era per lui soltanto.

Quell'isola era diventata un'ossessione. Quando all'alba scendeva al porto per la pesca, il suo sguardo correva subito a cercarla, in quel punto dell'orizzonte che ben sapeva, ma quasi sempre invano. Invisibile e misteriosa l'isola gli si negava.

E ancora la cercava durante il giorno, e poi al tramonto, quando, attraccata la sua barca al molo, scrutava il lontano orizzonte cercando segnali premonitori del tempo dell'indomani .

Un giorno Giovanni si decise.

Caricò sulla barca un po' di provviste e combustibile e dopo aver detto in famiglia e agli amici che sarebbe stato fuori a pesca per qualche giorno in un posto lontano, partì per l'isola.

Giovanni e il mare si conoscevano bene.

"Il mare è leale e non tradisce. Se lo temi e lo rispetti non ti farà mai del male. Ma ricordati di non sfidarlo mai, perchè la sua collera sarebbe allora terribile."

"Se conosci il mare, non puoi non amarlo. Anche se andrai lontano, lo porterai sempre con te."

Suo padre aveva ragione. Giovanni si chiedeva spesso quanto di lui continuasse ancora a vivere in sè, Lui sempre così delicato e discreto nei suoi confronti e pure ancora così presente nella sua vita. E lui per suo figlio, era stato un buon padre? O lo aveva trascurato per inseguire le sue chimere?

Certo il mare aveva capito. Per tutta la mattina rimase calmo come uno specchio. Risparmiò al vecchio motore fatiche inopportune e rischiose e lasciò che Giovanni al timone si immergesse nei suoi pensieri e nelle sue fantasticherie. L'isola era lì a prua davanti a lui, ben visibile adesso. Bianca di granito e di nebbia nel mattino. L'isola del mistero.

A poppa, sulla scia sottile dell'imbarcazione, la terraferma che si allontanava. Il suo paese, la sua gente, i suoi cari. Le sue certezze.

Giovanni non l'aveva mai vista così. Provò un senso di disagio, una dolorosa sensazione di distacco, di solitudine.

L'isola cresceva davanti a lui, mentre il colore virava lentamente dal bianco abbagliante del primo pomeriggio al rosa lattiginoso del tramonto. Già si distinguevano i ripidi pendii, le coste scoscese, le insenature.

Giovanni era affascinato da tanta bellezza, intatta, incontaminata.

Ma era mai possibile che un luogo così limpido e solare nascondesse qualche segreto?

O era tutto frutto della sua mente? Cos'aveva poi di diverso quell'isola dalle altre dell'arcipelago, dalle coste rocciose che dal Monte precipitavano a mare e che conosceva nei loro più reconditi anfratti?.

Era pura, intatta. Era affascinante per il bianco del granito che splendeva sotto il sole.

Era circondata da un alone di mistero perchè così lontana e difficilmente raggiungibile. Ma era in definitiva come le altre. Forse aveva coltivato per tutta la vita un'idea balzana che era cresciuta a dismisura nella sua mente e gli aveva fatto perdere il senso della realtà.

Era ormai buio quando Giovanni dette fondo all'ancora davanti all'isola. Si preparò per la notte. Distese un'incerata da bordo a bordo e una vecchia coperta a pagliolo vicino al motore ancora caldo. Poi, prima di coricarsi, si sedette a poppa per riordinare le idee sul da farsi l'indomani.

L'isola si ergeva enorme davanti a lui. Nera e minacciosa su un mare silenzioso e sottomesso, cancellava le stelle da gran parte del cielo. Come creatura mostruosa lo sovrastava in tutta la sua possanza, lo opprimeva, lo sfidava. Aspettava che lui varcasse quel confine che non doveva per annientarlo.

Giovanni ebbe paura. Passò la notte rannicchiato sul suo giaciglio.

"Ma in fin dei conti - pensò - perchè era venuto fin lì? Cosa cercava?

Forse che sapere lo avrebbe reso più felice? O forse dalla conoscenza sarebbe derivata la sua infelicità, la disperazione. E poi, a lui era stato concesso di sapere?"

I gabbiani al tramonto volano ad est incontro al sole che sorge. Non sanno perchè lo fanno, nè possono saperlo. I confini del loro sapere sono consoni al loro piccolo essere. Ben più grande è l'essere degli uomini. Il loro sapere si spinge fino ai confini della vita e dell'universo. Ma a loro non è stato dato di oltrepassarli.

Ad altri forse ciò stato concesso. Altri forse vicino a noi che non possiamo vedere, sentire.

E poi, cosa gli mancava in definitiva? Aveva i suoi cari, la sua gente, il suo paese. Aveva il mare. Aveva la fantasia.

L'indomani, al primo chiarore del giorno, Giovanni salpò l'ancora e mise la prua verso il paese.

 

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