Giuseppe

Poco dopo il tramonto usciva sul balcone e, appoggiandosi con le mani alla ringhiera, se ne stava immobile dirimpetto al mare. Poi all'improvviso rientrava in casa, prendeva il bastone accanto alla porta, e senza una parola, scendeva in strada avviandosi verso il porto.

Era sempre il crepuscolo e la gente del paese, che di solito a quell'ora rientrava a casa, non ci faceva più caso a vederlo passare, bacchettando con il bastone muretti e marciapiedi, e dirigersi verso la parte più vecchia e silenziosa del porto, dove i pescatori tirano in secco le barche, dove le barche muoiono.

Qui, aiutandosi a tastoni con la rete che delimitava il cantiere, raggiungeva una panchina isolata in cima al molo, costruita alla meglio con qualche tavola di scarto accanto a un casotto per le reti e gli attrezzi da pesca. E lì a due passi dal mare, con il bastone tra le gambe e le mani appoggiate sulle ginocchia, se ne stava immobile, guardando il silenzio davanti a sè mentre il crepuscolo volgeva a sera.

La gente del paese lo chiamava 'il matto' per questa sua stramberia, ed altre ancora. Molti non ricordavano di averlo mai sentito pronunciare una sola parola. Un cenno con la testa era il massimo con cui potesse ricambiare il saluto di qualche passante. Per tutti era poco più di un'ombra che stranamente faceva la sua comparsa quando tutte le altre scomparivano.

Da quando era rimasto solo, Giuseppe era ospitato dal figlio e dalla nuora. Una presenza gradita se pur problematica per il primo, tollerata ai limiti della sopportazione per la seconda. E quindi tensioni e litigi sempre in agguato dalla mattina alla sera. Questo lo addolorava moltissimo. Ma non sapendo dove andare, per ridurre al minimo il disturbo passava la maggior parte del giorno seduto in silenzio su una vecchia poltrona accanto al lettino, nel sottoscala.

Fino a poco dopo il tramonto.

I rapporti umani con i paesani erano praticamente inesistenti. Con quelli molto più giovani di lui non si sentiva a suo agio e li evitava, non per senso di superiorità ma per evitar loro un motivo di imbarazzo. Sapeva di appartenere ad un altro mondo. Quelli della sua età li trovava in genere insopportabili: sempre a parlare dei loro acciacchi e malattie, dei loro piccoli squallidi interessi, delle loro miserevoli faccende di invidie, dispetti e maldicenze quotidiane. E lamentele a non finire. Vecchi fuori e decrepiti dentro. Non li sopportava.

Ma al crepuscolo era un'altra cosa. Il crepuscolo, un tempo indefinito: nè giorno nè notte, nè vita nè morte. A saperci fare, al crepuscolo si possono fare miracoli.

E su quella panchina in cima al molo, nel silenzio della sera, Giuseppe i miracoli sapeva farli.

Immobile a due passi dal mare, con il bastone tra le gambe e le mani appoggiate sulle ginocchia, lo sguardo fisso lontano, Giuseppe non era mai solo. C'era sempre qualcuno con lui. A volte uno solo, a volte più uomini o donne, di tutte le età. E con loro discorsi a cuore aperto a non finire, storie condivise, domande. Tante domande. Con loro sì che s'intendeva!

La maggior parte di loro veniva da vicino, appena dietro il paese. Qualcuno da lontano, molto lontano.

Due fratelli, sempre insieme, venivano dal mar di Sardegna. Erano due giovanotti simpatici e allegri che Giuseppe conosceva bene perchè per lungo tempo avevano navigato insieme su un bastimento. Poi si erano persi di vista. Si mettevano a sedere su un mucchio di vecchie reti davanti a lui e lo coinvolgevano con le loro storie, non capiva mai se vere od inventate. Storie di donne e di scazzottate, di avventure, birbanterie. Con loro tornava giovanotto anche lui. Le risate che si facevano...

Un vecchio marinaio, con i suoi due figli, veniva addirittura dal Golfo di Biscaglia. I ragazzi di solito non si sedevano sulla panchina, ma sul bordo del molo, con le gambe penzoloni ed i piedi scalzi ad un palmo dal mare. Rimanevano taciturni a capo chino guardando l'acqua tra gli scogli. Il vecchio invece si sedeva accanto a Giuseppe. Si portava un rimorso dentro, quello di aver imbarcato i suoi figli con sè sul suo veliero, nonostante fossero ancora molto giovani. La moglie lo aveva supplicato di non farlo. Ogni volta che veniva, aveva bisogno di parlarne.. Giuseppe, che qualche piccolo rimorso l'aveva anche lui, l'ascoltava in silenzio.

E c'era una bimba con i capelli lunghi e neri che veniva spesso. Si arrampicava sulla panchina e si stringeva a Giuseppe. Lui le passava un braccio intorno alle spalle e, mentre le parlava, con l'altra mano le scostava i capelli dalla fronte. Ogni tanto si voltava dall'altra parte per non farsi veder piangere.

La sera diventava rapidamente notte. Giuseppe non aveva molto tempo. Con la notte i suoi ospiti non sarebbero più potuti venire. Le tenebre, come la luce del giorno, avrebbero ripristinato l'ordine naturale, il rigore. Una barriera invalicabile li avrebbe nuovamente separati.

Due anziani, un uomo e una donna, erano spesso accanto a Giuseppe, seduti uno da una parte e uno dall'altra. Lui, in divisa da ferroviere, gioviale e sorridente con un paio di enormi baffi alla Bismark, lei alta e magra con una lunga sottana nera e un grembiulone bianco candido.

Giuseppe discorreva con entrambi, voltandosi più spesso verso la donna. Lei non parlava molto. Lo guardava a lungo, in silenzio.

Marta veniva sempre per ultima quando la panchina in cima al molo era ormai avvolta dall'oscurità. Veniva tutti i giorni, stringendosi in uno scialle di lana nero.

Di lei Giuseppe riusciva a distinguere solo il viso e le mani. Si sedeva stretta a lui e lo baciava sulla guancia. Poi ponendosi le mani in grembo, gli chiedeva sempre cosa avesse fatto quel giorno, se fosse uscito con gli amici per la solita passeggiata, se in casa lo trattassero bene, se la sua salute fosse ancora buona, ed altro.

Giuseppe ci provava a mentire, ma non gli riusciva. Con Marta non gli era mai riuscito.

Poi parlavano piano, quasi sussurri. Quando si alzavano per lasciarsi, lei puntualmente gli si poneva di fronte, gli abbottonava con dolcezza l'ultimo bottone della camicia - lui lo lasciava sbottonato apposta - e gli riassettava un po' la giacca sulle spalle. Poi lo guardava allontanarsi e scomparire nel buio.

Era ormai notte, ma che importava? Tanto lui era quasi cieco. La strada di casa la conosceva a memoria.

Una sera - era molto tardi - mentre stava discorrendo con Giacomo il ciabattino, Giuseppe si sentì improvvisamente stanco. Come mai.

Non aspettò Marta, e, tastando la rete del cantiere, si avviò sul molo verso casa.

La sua stanchezza aumentava ad ogni passo.

Si sentì chiamare da dietro. Si voltò tenendosi aggrappato alla rete. Gli sembrava che il molo sprofondasse sotto i suoi piedi. Era Marta.

"Giuseppe, sono venuta, sono qui. Rimani .."

Al crepuscolo del giorno dopo, sulla panchina in cima al molo, a due passi dal mare, non c'era nessuno.

 

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