La casa rosa

"Sai Tommaso, stanotte ho fatto un sogno, quasi un presentimento. Ho sognato che ti trovavi all'inferno, in un gruppo di anime dannate straziate da atroci tormenti"

L'esordio non era inconsueto per frate Vincenzo, avvezzo a queste gentili esternazioni verso chi avesse la ventura di trovarsi accanto a lui.

In quell'occasione frate Vincenzo se ne stava a mensa, seduto accanto al destinatario della sua cortesia, sostenendo con delicatezza tra le dita un coscio di pollo in avanzato stato di scarnificazione.

Vincenzo "il bello", malignavano i confratelli suoi coetanei, che, senza dirlo nemmeno in confessione, e pentendosene cristianamente come di dovere, lo detestavano cordialmente.

Sempre ben rasato e profumato, elegante nel suo saio impeccabile, dai modi cortesi e raffinati, frate Vincenzo si muoveva tra gli altri frati del convento come farebbe un cigno in un branco di tacchini.

"Lo sapevo, lo sapevo - disse sconsolato frate Tommaso, deponendo forchetta e coltello nel piatto - Non sono stato esaudito. Vedendoti entrare, ho pregato ardentemente che tu andassi a sederti un po' più in la', che almeno per oggi mi lasciassi in pace, ma non sono stato esaudito. Evidentemente frate Tommaso non se lo merita... è un po' cattivo".

Se c'era un frate nel convento che fosse proprio agli antipodi di Vincenzo, quello era Tommaso. Il contrario di ciò che l'altro era, ed esattamente quello che l'altro non era.

A vederlo tutto sembrava meno che un frate. A sentirlo parlare, meno che meno.

Frate Tommaso era la vittima preferita di frate Vincenzo.

"Suvvia, Tommaso, non fare così Tu sai che dalla mia bocca escono solo parole di verità e a fin di bene - replicò l'altro rigirando il pollo tra le dita alla ricerca del punto più idoneo per il prossimo morso - Le verità più amare sono anche quelle che fanno più bene. Come le medicine"

"E a cosa debbo questo tuo intervento... diciamo così ..terapeutico. Sempre la solita storia? - fece Tommaso allontanando con una smorfia il piatto da sè- Ormai è più di un mese che qui in convento non si parla d'altro. Sempre quella. Soltanto quella. Me ne accorgo sai delle occhiate sottecchi, dei risolini maliziosi, del cambiare discorso quando passo accanto a qualche gruppetto in conversazione carbonara.

C'è sempre il povero Tommaso di mezzo, stanne certo. Anche il Padre Superiore da un po' di tempo mi guarda come se mi fossero spuntate le corna e una coda mi penzolasse dal di dietro...

Almeno sapessi chi è che ha messo in giro queste voci... Sapessi con certezza, intendo, perchè una mezza idea già ce l'ho"

Vincenzo depose il coscio di pollo nel piatto. Poi, con cura e delicatezza si passò un lembo del tovagliolo sulle labbra. Si rivolse infine a Tommaso:

"Caro il mio frate, le voci non nascono mai dal nulla. Se qualche vocina circola, e non nego che circoli, il motivo ci sarà. Forse un motivo in gonnella, giovane e prosperoso..."

"Verità per verità ti dirò una cosa, Vincenzo mio amatissimo. E te la dirò nel linguaggio laico e profano che talvolta rende meglio l'idea.

Tu non sei un frate un po' stronzo, Vincenzo. Sei uno stronzo vestito da frate. Il che è diverso.

Vedi, un frate a volte può essere un po' stronzo. Capita a tutti, fa parte del mestiere. Ma uno stronzo sarà sempre e soltanto uno stronzo anche con un vestito da frate addosso. E' il tuo caso...

Quanto al motivo in gonnella giovane e prosperoso che tanto ha colpito l'immaginazione e la malizia pruriginosa tua e dei nostri confratelli, ti ho già spiegato com'è andata.

Ma siccome, evidentemente, tu godi molto a ricamare e fantasticare su eventi di questo genere, ti racconterò ancora una volta, e sarà l'ultima, questa vicenda che a me ha giustamente procurato, come tu dici, l'inferno, e a te qualche merito redentorio."

Nel refettorio del convento il pranzo volgeva al termine. I commensali confortati dal pasto non frugale e dalla insolita razione di vino dovuti alla ricorrenza festiva, discorrevano tra loro, nè più nè meno come i loro cugini laici, malignando di quello o di quell'altro e criticando ogni loro pensiero, opera ed omissione. Qualcuno, più anziano, aveva invece preferito dedicarsi ad una momentanea pennichella con il capo reclinato sulle braccia conserte, davanti al piatto e al bicchiere ormai vuoti.

Frate Tommaso cominciò:

"C'era un povero frate che se ne andava per la via del paese per fare un acquisto. Gliel'aveva chiesto il Padre Superiore, sapendo che lui, nato da quelle parti, avrebbe saputo a chi rivolgersi. Camminava spedito il frate, non sapendo di avere il demonio accanto a sè  quando si sentì chiamare per nome. Era Marta, la sua compagna di giochi di tanti anni prima. Marta che abitava nella sua stessa corte, nella casa davanti alla sua. Marta che sedeva sempre accanto a lui quando nelle sere d'estate le famiglie si riunivano a chiacchiera sull'aia.

Poi un giorno Marta se n'era andata. La sua famiglia si era trasferita altrove. E lui era rimasto solo nella corte, con l'adolescenza ormai alle porte e la vocazione che l'aspettava più in là.

Ma quel giorno per la via del paese, Marta, a distanza di tanti anni, l'aveva riconosciuto...

- le donne hanno questo dono straordinario, che gli uomini non hanno, e nemmeno gli stronzi come te - e l'aveva chiamato.. per nome, come una volta..

Lui, che da povero frate si era un po' scordato delle fisionomie femminili, lì per lì non l'aveva riconosciuta. Poi: ".. la corte.., ti ricordi?, ..i giochi.. le corse.. il nascondino nei pagliai.., ti ricordi?... sono Marta."

Un colpo al cuore. C'era una panchina lì vicino." Sediamoci un momento..." e si erano seduti uno accanto all'altro.

Avrebbero avuto tante cose da raccontarsi. Ma non c'era il tempo. E forse non era il caso.

Solo pochi minuti a dirsi le solite cose in quelle circostanze, a scrutarsi negli occhi per cogliere le risposte che non avrebbero potuto chiedersi...

Poi lui si era alzato, l'aveva salutata guardandola per un'ultima volta nel fondo degli occhi e se n'era andato per la sua strada. Il cuore gli batteva un po', non avrebbe potuto negarlo..."

Nonostante il fastidioso brusio e la presenza inquisitoria accanto a lui, Tommaso si era molto immedesimato nella storia. Finì per raccontarla, come se al posto di Vincenzo ci fosse Marta ancora seduta accanto a lui.

Tacque per qualche istante, poi aggiunse mestamente:

"Questa è la storia che tanto ha sconvolto le menti in questo piccolo convento di provincia."

Frate Vincenzo aveva ascoltato molto attentamente, il capo chino, come in confessionale.

"Vedi Tommaso - fece poi con un mezzo sospiro - è evidente che tu tendi, molto umanamente, a sminuire le tue colpe.

Ma tu, su quella panchina, seduto accanto ad una donna giovane e prosperosa ci sei stato. L'hai confessato anche qui con lodevole franchezza. E non mi verrai a dire che in tutto quel tempo non ti è passato per la mente qualche pensierino... un po' carnale.. diciamo così. Via, su, confessa. Apri il tuo cuore. Io penso che una sana confessione, anche se in un ambiente un po' conviviale come questo, allevierebbe sensibilmente le tue colpe.

Confessa che ti sei stretto a lei su quella panchina... che l'hai toccata. Dove l'hai toccata? E lei che ha fatto?

Su, Tommaso, di me ti puoi fidare. Racconta... Non andr?di certo a riferirlo a questi buzzurri"

Frate Vincenzo, un po' accaldato, aveva perso ogni interesse per ciò che restava del suo pollo e pressava l'altro con lo sguardo aspettando una rivelazione ben più succulenta.

Che con gran delusione dell'interessato, non giunse. Giunse invece il rumore di una sedia rovesciata ed il fragore di piatti e di bicchieri infranti.

Era un frate vicino a loro che, apparentemente appisolato con il capo reclino, aveva invece ascoltato attentamente ogni parola della conversazione. E per non perdersi il meglio si era lentamente inclinato verso di loro fino a perdere l'equilibrio e rovesciarsi a terra, trascinandosi dietro la tovaglia e quanto vi era sopra appoggiato.

Quando il clamore suscitato dall'incidente si fu placato, ed il frate avviato zoppicando verso l'uscita, Tommaso si rivolse a Vincenzo:

"Mi stavo chiedendo, frate, perchè non ti abbia ancora ucciso. Chissà perchè. Ma penso che mi deciderò presto...

Si, penso che lo farò. Mi introdurrò di notte nella tua cella e mentre dormi ti taglierò la gola... Ma siccome non sono del tutto cattivo lo farò con delicatezza, senza farti soffrire troppo. Tanto, inferno per inferno... Almeno renderò un po' più salubre l'aria che si respira tra queste mura.

Marta era una compagna della mia infanzia. Hai capito frate? Spalanca quelle tue orecchie suine e cerca di capire. Marta era una bambina che giocava con me quando anch'io ero un bambino... Hai capito?

Ma tu, sei mai stato bambino, Vincenzo? Hai mai giocato con altri bimbi? Hai mai avuto una bimba per amica?"

"Un bambino, io? - chiese Vincenzo afflosciandosi improvvisamente come un bambolotto di gomma - tutti siamo stati bambini, mi pare..."

Poi aggiunse:

"Certo ognuno a modo suo... come gli altri vogliono o consentono che tu sia.

Principalmente tuo padre e tua madre...

Ma visto che t'interessa tanto la mia infanzia, ti dirò che io mia madre non l'ho nemmeno vista. E' morta mentre mi metteva al mondo. E mio padre lo vedevo si e no due o tre volte l'anno, quando veniva a trovarmi nel collegio dove mi aveva messo perchè non disturbassi i suoi traffici domestici. Un collegio di lusso, s'intende. Mio padre era un uomo ricco ed in vista. Non poteva certo sciupare la sua reputazione con un istituto da quattro soldi.

Ho tanti ricordi di quel tempo, ma faccio di tutto per tenerli lontano da me. Senza successo, ovviamente. Come adesso, che qualcuno ha pensato bene di rammentarmeli.

Giocato con una bambina, mi chiedi. E quando mai?

Il mio istituto era rigorosamente per maschietti.

Le bambine le potevo vedere solo ogni tanto dalla finestra della mia cameretta.

Qualcuna passava, insieme a sua madre... o suo padre...Qualcuna giocava per la strada...

Ci ho trascorso l'infanzia, in quel collegio..

Poi crescendo, ho cambiato istituto. Sempre di quelli di lusso, ovviamente. Mi chiamavano "signorino".. e avevano timore di me... anzi di mio padre...

E da lì sono entrato in seminario. Tanto, fuori che ci stavo a fare? Almeno agli istituti c'ero abituato...."

Si interruppe per qualche istante, poi riprese:

"Ecco, hai visto frate? E' bastata una domanda e ti ho vomitato addosso tutta la mia vita.

In sintesi, perchè certi particolari è meglio lasciarli stare.

Ora, poichè penso che tu sia una brava persona, nonostante le contumelie di cui mi hai gratificato e le tue intenzioni omicide, se vuoi uccidimi pure, ma non mi fare mai più domande su questo argomento.

Ed io ti prometto che starò buono su quell'altra storia che ti sta tanto a cuore...

Ma prima di accomiatarmi da te vorrei farti notare qualche parolina che nella descrizione appassionata dell'incontro fatale ti sei fatto ingenuamente scappare:

"un colpo al cuore" hai detto quando lei ti si è rivelata.

"il cuore mi batteva un po'" quando tu l'hai lasciata.

Medita, frate, medita."

 

Il sole, dopo aver fatto il suo dovere per tutto il giorno sui colli e la campagna sottostante, se ne stava andando, come al solito, a cercare un po' di riposo nel mare. Lui, gli uomini aveva rinunciato a capirli da tempo. Tutti matti aveva concluso, irrecuperabili.

Avessero preso esempio da lui, placido, tranquillo, prevedibile...

Il piccolo pergolato era già tutto in ombra, ma la casa, investita in pieno dagli ultimi raggi di sole era tutta uno splendore.

Tommaso depose i fogli appena letti sul tavolo davanti a sè.

"Però Vincenzo, non ti facevo così bravo. - disse ponendo con cura gli occhiali nel loro astuccio - Veramente bravo"

Si era un po' emozionato, Tommaso, e, com'era solito fare in questi casi, escogitò una robusta soffiata di naso per rimettersi in carreggiata. Poi aggiunse:

"Ma come hai fatto a ricordare tutto questo a tanti anni di distanza. E quando l'hai scritto?"

Vincenzo se ne era stato, per tutto il tempo della lettura, sprofondato in silenzio su una vecchia sdraio a contemplare tutto quel ben di Dio che dal colle, dove si trovava, si stendeva davanti a lui fino al mare.

"Stanotte - rispose voltandosi finalmente verso l'altro - In albergo, dov'ero arrivato nel pomeriggio, non riuscivo a prendere sonno, così mi sono alzato, ho spremuto un po' la memoria e ho buttato giù quelle paginette. Così quando me ne sarò andato, e sarà presto, ti ricorderai del bel Vincenzo che t'ha cambiato la vita.

Certo le parole non sono quelle di quella chiacchierata di un tempo, ma la sostanza sicuramente si. Quella me la ricordo bene"

In quel momento arrivò Marta reggendo tra le mani un vassoio ed una bottiglia che, mentre camminava, rischiava di scivolarle a terra da un momento all'altro.

"Ecco qua, dolcetti casalinghi sfornati ora ora. E un po' di vino dolce per accompagnarli.

Gli eventi importanti vanno festeggiati. E questo per noi lo è davvero. Buon appetito"

Vincenzo si alzò dalla sdraio e prese posto al tavolo davanti a Tommaso. La giovinezza se n'era andata da un pezzo, ma l'eleganza e la gentilezza dei modi erano ancora quelle del frate Vincenzo di un tempo. Tutto l'opposto, al solito, di Tommaso che quel tempo aveva con lui condiviso.

"E' una brava donna - fece Tommaso quando il suo grembiulone bianco scomparve oltre la porta di casa. La vita è stata dura con lei. Le morì il marito quando era ancora molto giovane lasciandola sola in questa casa con un figlio di pochi anni. Le voglio molto bene. E' figlia di questa terra, come me...non potremmo vivere altrove.

Ma ora dimmi, questa che ho letto è solo la prima parte della storia, quando scriverai la seconda?"

"Quella non la posso scrivere da solo. Bisogna essere in due. Comincia tu..."

Il sole se ne stava proprio andando, e tra le balze sottostanti una marea d'ombra stava lentamente sommergendo le poche chiazze di luce che ancora resistevano. Anche la casa, impallidita, si stava a poco a poco spengendo.

Tommaso cominciò:

"Quella notte, dopo il ruvido colloquio con frate Vincenzo nel refettorio del convento, frate Tommaso non riuscì a dormire. L'ora delle Laudi lo trovò con gli occhi al soffitto a ripensare a quanto l'altro gli aveva detto. Non era uno sciocco Vincenzo - dovette ammettere il frate - aveva colto il significato di quelle due piccole frasi di cui lui, Tommaso, pur pronunciandole, non si era reso pienamente conto.

"Un colpo al cuore" aveva detto quando Marta gli si era rivelata

"Il cuore mi batteva un po'" quando lui l'aveva lasciata.

E aveva meditato, come Vincenzo gli aveva suggerito, per tutto il giorno. E ancora il giorno dopo. E meditò per tutto il mese che seguì.

Poi un giorno si fece coraggio e scese in paese, a sedersi su quella panchina che l'aveva ospitato accanto a Marta. Ma quel giorno non la vide. Scese ancora nei giorni seguenti, mettendo in subbuglio tutto il convento, tranne Vincenzo che continuava a gironzolargli intorno facendo finta di niente, fino a che un pomeriggio la vide spuntare da in fondo alla via.

Era venuta in paese a far la spesa. Si sedette accanto a Tommaso.

Un altro mese trascorse. Tremendo, un mese da non augurare nemmeno al tuo peggior nemico. Poi la decisione. Si convinse che il suo posto fosse accanto a Marta, in quella casa sul fianco della collina dove lei abitava con il suo bambino. Il giorno dopo salì a bussare alla cella del Padre Superiore.

Qualche tempo dopo Tommaso e Marta si sposarono. Celebrò le nozze il Padre Superiore del convento, assistito da un frate Vincenzo particolarmente radioso, che per l'occasione si era fatto confezionare, con i soldi di papà  un saio su misura da un famoso sarto di Milano..."

 

"Ecco - fece Tommaso dopo qualche attimo di silenzio - questa è la seconda parte della storia che mi riguarda. Quel che segue non è molto diverso dalle storie di tutti quelli che, come me, vivono su questa terra. Storie semplici, senza pretese. Eppure, senza che molti se ne accorgano, storie felici. Ringrazio Dio di aver guidato i miei passi."

Prese un dolcetto dal vassoio, lo intinse ben bene nel vino dolce che aveva versato nel bicchiere, e se lo portò alla bocca. Così tanto per darsi un contegno.

Vincenzo aveva ascoltato compiaciuto, accompagnando con un sorriso quei passi del racconto che lo riguardavano.

"Bene, ora tocca a me." disse poi.

"Il colloquio conviviale con Tommaso mise frate Vincenzo di pessimo umore. Ma di un umore così nero che il mattino seguente preferì darsi malato e rinchiudersi in cella per un paio di giorni. Non richiedeva nessuno, tanto meno Tommaso.

Quando ne uscì, incredibilmente con la barba lunga ed il saio spiegazzato, trovò Tommaso in piena crisi mistica e amorosa. Si preoccupò ma non disse nulla. Si limitò ad osservarlo da lontano, facendo finta di niente. Fino a che un giorno il frate lo chiamò in disparte e, con gli occhi bassi bassi, gli disse che avrebbe lasciato il saio e sposato Marta. A Vincenzo parve che il convento gli crollasse addosso.

Era un bel convento del '600. Costruito sul fianco della collina da chissà chi quando quelli che contavano erano tutti "caballeros" e parlavano il castigliano, era meta di gite domenicali e pellegrinaggi, un po' per ammirare la "Madonna della volpe" che adornava la sacrestia, un po' per le splendide merende che l'aria buona e il panorama ameno consentivano. L'aveva fatto costruire un signorotto del luogo "per grazia ricevuta" dopo una caduta da cavallo durante la caccia alla volpe. Il poveretto si era rotto l'osso del collo, con gran soddisfazione della volpe e della moglie che non gradiva la sua tresca con la cameriera, ma miracolosamente si era salvato. E siccome era un uomo di fede, aveva promesso di cambiare vita e di tramandare ai posteri un segno della sua riconoscenza a chi di dovere..

Aveva così smesso di cacciare la volpe, ma non la cameriera, e aveva fatto costruire il convento sul luogo del miracolo.

Era un convento molto solido che non aveva mai dato segni di cedimento. Ed infatti non crollò.

Crollarono invece tutte le certezze di frate Vincenzo..

Si ritrovò solo, senza la fede autentica e la vocazione genuina di frate Tommaso da cui trarre ispirazione e forza, e senza la vittima preferita da provocare, punzecchiare e torturare nelle lunghe giornate monastiche. Degli altri confratelli, "buzzurri" diceva lui, nessuno aveva la ricchezza, il colore, la spontaneità la succulenza delle sue reazioni.

Che sarebbe stata la vita in convento senza di lui? Una noia, sarebbe stata. Una noia infinita dalla mattina alla sera.

Si intristì.

E dall'abisso della sua tristezza emerse nitida una domanda "Che ci faceva lui in quel convento?". Non riuscì a trovare una risposta.

Se ne tornò alle sue nebbie, da cui era partito anni prima, in auto con autista ed un guardaroba di sai per tutte le occasioni."

"E questa è la parte che riguarda me - aggiunse Vincenzo prelevando dal vassoio un dolcetto che gli parve particolarmente gustoso - Te l'ho un po' romanzata, perchè questo è il mio mestiere, ma le cose sono andate proprio così"

Dopo aver liquidato il dolcetto e sorseggiato un po' di vino continuò:

"Ma perchè tu non conservi di me un ricordo peggiore di quel che sono, aggiungerò qualcos'altro.

Tu non lo sai perchè non l'ho mai detto a nessuno, ma in convento ogni tanto mi dilettavo a scrivere favole per bambini. Non ridere, ti prego, ma il mondo delle favole mi ha sempre affascinato. Sarà per la mia storia o perchè da piccolo me ne hanno raccontate così poche...

Tornato nella mia città ne ho fatta leggere qualcuna ad un editore, amico di papà. Gli sono piaciute e offrendosi di pubblicarle mi ha incoraggiato a continuare.

L'ho fatto, ed anche con un certo successo, devo dire.

Se Dio abbia guidato i miei passi, come tu dici, questo proprio non lo so. So però che con la mia scelta sono almeno servito a qualcosa, a dare un po' di gioia a qualche bambino.

Per il resto debbo dire che la vita tra la gente, e questo mio interesse, mi hanno molto aiutato.

Chissà forse non sarò perfettamente guarito... tu sai di che cosa... ma molto migliorato certamente si.

Però non me la sono sentita di sposarmi... non ero sicuro che sarei stato in grado di portare avanti una famiglia, ho avuto paura... Sono rimasto solo..."

Vincenzo non aveva finito di parlare che Marta comparve sulla soglia di casa e si incamminò verso di loro. Aveva tolto il grembiulone bianco e si era messa uno scialle ricamato sulle spalle. I capelli, prima sciolti, erano ora raccolti con cura sulla nuca. Si sedette accanto a loro, senza dire nulla.

"Sai Tommaso - riprese Vincenzo - qualche giorno fa ho fatto un sogno"

"Un altro?"

"Si, ho sognato che mi trovavo qui, tra questi colli, in una casa di campagna tutta rosa, come la tua.

E c'erano tre finestre. Da una potevo vedere la tua casa, sul colle di fronte. Da quella sul lato opposto, il convento con il suo piccolo campanile. Da quella di centro la campagna, e in fondo in fondo il mare.

E ho sognato che io e voi scendevamo dai nostri colli ed insieme, come tre ragazzini, andavamo a far merenda su quello spiazzo erboso, che tu sai, davanti al convento.

E rimanevamo lì sdraiati sull'erba, fino al tramonto.

A sera, un salutino alla "Madonna della volpe", in sagrestia, e poi a casa. Sotto le stelle."

"E' un bel sogno" fece Marta.

"Se non altro un po' diverso dai tuoi soliti..." aggiunse sorridendo Tommaso

"Così qualche giorno dopo ho preso il treno e sono tornato qui.

Tanto, tra le mie nebbie che ci stavo a fare? Di favole ormai non ne scrivo più.... e i miei pochi ricordi belli li ho qui, tra questi colli..."

 

Si stava facendo sera sul piccolo pergolato, sulla casa, sui colli.

Come tutti i giorni, da tempo immemorabile.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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