Gino "Tu che dici, Gino, noi uomini siamo importanti?" La domanda, insolita e vaga, era solo un modo di iniziare una conversazione che nelle intenzioni di chi la poneva, avrebbe poi dovuto condurre ad un'altra molto più precisa ed impegnativa. Mario se ne stava sdraiato sul letto disfatto, in pigiama, con le braccia ripiegate all'indietro e il capo appoggiato sui palmi delle mani. La barba non rasata e gli oggetti sparsi disordinatamente sul pavimento tradivano il suo stato d'animo del momento. Completamente a terra. Stato d'animo non infrequente di quei tempi e aggravato dalla pioggia uggiosa del giorno. "Formiche, e niente più" rispose Gino senza scomporsi. In piedi davanti alla finestra guardava distrattamente davanti a sè le pozzanghere disseminate nel piazzale picchiettate dalla pioggia, gli alberi e le siepi delle aiuole fradice e gocciolanti, le persone dietro le finestre, come lui, nell'edificio di fronte. Affatto interessato da ciò che l'autunno gli propinava in quel momento, il suo pensiero vagava qua e là senza soffermarsi troppo nè qua nè là. "Perchè me lo chiedi?" aggiunse poi voltandosi verso il compagno. Si conoscevano da qualche anno, Gino e Mario, da quando erano diventati, giocoforza, coinquilini di quella camera al secondo piano dell'Istituto. Dopo un primo periodo di diffidenza e studio reciproco, di chiusure e caute aperture, si erano affezionati l'uno all'altro, come sempre impone la solitudine disperata e nonostante la notevole diversità del carattere. "Beh, sai, qui un giorno dopo l'altro se ne stanno andando un po' tutti, chi prima chi dopo. Hai visto che l'altro ieri se n'è andato anche Beppe, nella cameretta qui a fianco.. Sembrava il ritratto della salute. Come giocava a bocce lui non c'era nessuno. Ci sta che anche noi, prima o poi...Già io stasera non mi sento per niente bene. Ecco, mi chiedevo... "Formiche e niente più - ribattè Gino - Formiche stipate su una boccia che vaga senza senso nell'infinito. Sono importanti le formiche? Pensa che mentre noi stiamo facendo un po' di filosofia in questa cella di galera al secondo piano, la pioggia qui sotto nel piazzale ne sta facendo uno sterminio. E non mi sembra che qui intorno si respiri aria di tragedia. Non odo il lamento disperato di madre natura che piange le sue figlie perdute. No, penso proprio che le formiche non siano importanti, almeno nel senso che intendi tu. E perchè dovrebbero esserlo gli uomini? A parte dimensioni e morfologia, non mi sembra che ci sia poi una gran differenza. Anzi, a dirti il vero, mi sembra che sotto qualche aspetto le formiche diano segno di maggior saggezza." "Ieri ho incontrato don Giorgio. Lui dice che noi uomini siamo importanti. Poi non mi sembra che il paragone..." "Don Giorgio fa il suo mestiere - lo interrupe Gino - Ma guardiamoci bene, Mario. Lo vedi come siamo fatti? Siamo mollicci come i vermi. Abbiamo un corpo che si deteriora con facilità e dopo un pugno d'anni è da buttar via. Si vive niente, si conta niente nel bilancio complessivo dell'Universo. Se anche la boccia con tutto il formicaio venisse inghiottita da qualche astro fiammeggiante, non credo proprio che l'Universo si fermerebbe sbigottito per la gran perdita. No, mi dispiace deluderti, ma penso proprio che anche gli uomini non siano importanti. Una pietra almeno è quasi eterna. O una montagna, se vuoi. Se di punto in bianco sparisse una montagna se ne sentirebbe la mancanza, eccome. O un lago, o un mare. Ma se sparissero Gino o Mario, di certo non se ne accorgerebbe nessuno" Alzò il viso a guardare di traverso il cielo che continuava a scrosciare pioggia, poi riprese. "Guarda Beppe. I suoi amati familiari l'avevano scaricato già da un pezzo, se no non sarebbe stato qui. Quando se n'è andato il direttore della galera ha tirato un sospiro di sollievo perchè si era liberato un posto nell'Istituto, e l'unico vuoto che ha lasciato è nella squadra di bocce perchè uno bravo come lui non sarà facile rimpiazzarlo. Questo è il dopo-Beppe. Ma io come bocciofilo non sono granchè e neppure tu. Non facciamoci quindi troppe illusioni e cerchiamo di campare il più possibile." "Ora basta Gino! Ma ti rendi conto di cosa stai dicendo? - fece Mario sollevandosi sui gomiti e volgendo il capo verso l'interlocutore - Ti ha per caso dato di volta il cervello? Mi vieni a dire che un uomo vale più o meno come una formica? O addirittura che invidi i sassi per la loro eternità? L'uomo è una creatura intelligente! Tu sottovaluti la forza dirompente del pensiero. Altro che sassi e formiche! E poi sappi che le formiche non mi sono mai state particolarmente simpatiche, - aggiunse lasciandosi ricadere sul letto - sono invadenti, infestanti e insopportabili." "Certo, certo - fece Gino - Ma a parte il fatto che nel cervello delle formiche non c'è mai entrato nessuno e che nessuna formica gli ha mai spiegato come funziona, vorrei farti notare che l'intelligenza e la forza dirompente del pensiero, come tu dici, sono frutto di una materia molliccia che si chiama cervello. E questa materia molliccia ma miracolosa di solito non sopravvive al proprietario. Finito lui, finita anche lei con tutta l'intelligenza di cui è capace e i pensieri dirompenti che partorisce. Che te ne fai di questo dono possente di madre natura se dura solo un attimo, paragonato all'eternità e non hai nemmeno un po' di tempo per godertelo e farlo fruttare? E poi, sai, io avevo un cugino che si chiamava Berto ed era completamente scemo. Visse più a lungo di tutti in famiglia ed io l'ho sempre visto allegro e contento. Molto più di me, che un po' d'intelligenza penso di averla. Vedi quindi, che si potrebbe anche discutere se l'intelligenza sia poi quel gran dono di cui tanto si parla. Le donne ad esempio, sono più felici degli uomini perchè notoriamente sono meno intelligenti." "Questa poi! Le donne sono anche loro formiche, ma meno intelligenti degli uomini!" "Non ho detto questo! Non mi attribuire parole che non ho mai detto. In effetti per le donne il paragone con le formiche è improprio. Penso che sia più corretto paragonarle ai pidocchi. Fastidiose creature parassite che vivono e ingrassano a spese degli altri. Gli uomini, nel nostro caso. Bene ho fatto a non sposarmi. Scelta di cui vado orgoglioso." Mario ebbe l'impulso di ribattere, poi si trattenne e si voltò contro il muro. "Clara non era un pidocchio.. " sussurrò piano per non farsi sentire. Lei non doveva venir coinvolta in quella discussione ridicola e strampalata. Clara le aveva detto un giorno di qualche anno fa: "Presto andrò via per un po. Rimarrai solo. Ma poi ci ritroveremo." "Per un po' quanto?" Le aveva allora chiesto lui allarmatissimo. "Per un po' tanto. Mi dispiace, mi dispiace. - era stata la sua risposta, e aveva le lacrime agli occhi mentre lo diceva - ma poi ci ritroveremo, stanne certo. Ci ritroveremo." No, Clara doveva rimaner fuori. Le idiozie di quella conversazione non dovevano toccarla. "Ci ritroveremo." Questo era quello che contava e di questo Mario cercava conferma ogni giorno parlando con le persone che conosceva, chiedendo a don Giorgio il cappellano, leggendo qua e là sui libri e sui giornali. E questo era quello che voleva sapere da Gino con la domanda "Gli uomini sono importanti?" Era li che voleva arrivare. Ma Gino si era sottratto alla risposta con uno sproloquio assurdo e provocatorio, come spesso faceva quando non sapeva che dire. Povero Gino, pensò Mario. Come poteva essere diverso? Se avesse avuto accanto una donna come Clara ora non sarebbe là davanti alla finestra a dire tutte quelle scemenze. Gino era tornato nel frattempo ad interessarsi del piazzale allagato e degli inquilini affacciati alle finestre di fronte. "Sai che c'è Gino?" riprese Mario, voltatosi nuovamente verso di lui. "Cosa?" "Tu hai una particolare capacità di essere di conforto agli altri. Un dono del cielo, evidentemente. Tu sai leggere nel loro animo e trovare le parole giuste per infonder loro speranza e coraggio. Anche adesso, con quella sensibilità che ti caratterizza, hai subito capito ciò di cui io avevo bisogno e me l'hai dato. Dio te ne renda merito. Adesso tutto è chiaro davanti a me. Io mi raderò per benino, indosserò il mio vestito migliore, salirò sul terrazzo dell'Istituto e con la serenità che tu hai saputo infondermi, mi butterò giù di sotto." Gino rimase in silenzio per qualche attimo, abbandonando il piazzale e gli inquilini dirimpettai. Poi, dopo un profondo sospiro, si voltò, si avvicinò al letto di Mario e si sedette ai suoi piedi. Gli sfilò con cura le pantofole dai piedi e le adagiò sul pavimento, ben accostate tra loro. Raccolse poi il bastone e il giornale da terra e li ripose, uno appoggiato alla spalliera del letto, l'altro nel cassetto del comodino. "Sai che c'è Mario?" Mario non rispose. "Io ho una certa età. Sono un po' più vecchio di te, se ben ricordo. Qualche mese. E allora posso dirti che tu non hai il diritto, specialmente in una giornata come questa, di rompermi i coglioni in questo modo atroce e disumano. Ti racconterò allora una fiaba. C'era una volta un re, ricchissimo, che era ossessionato dall'idea che le sue ricchezze non gli bastassero per tutta la vita, presente e futura. Una volta al mese allora faceva il giro del reame, accompagnato dal suo segretario e dal contabile di corte, per chiedere l'elemosina ai suoi sudditi. E se qualcuno non contribuiva come lui si aspettava, se ne andava piagnucolando lamentando l'insensibilità della gente e la sua imminente rovina. Gli uomini sono importanti? Mi hai chiesto, aspettandoti da me ben altre risposte. Ed io, Gino, che navigo in un mare di dubbi e di paure e che vorrei tanto le certezze, anche se a volte un po' traballanti, che hai tu, io dovrei darti conforto perchè oggi la pioggia ti ha un po' acciaccato il morale? Io dovrei essere la roccia a cui tu possa aggrapparti, la fonte a cui saziare la tua sete di verità? Ma per favore, Mario! Ancora non hai imparato a conoscermi? Io sono il suddito straccione della favola e tu il re piagnucoloso e scocciatore. Come posso darti quello che non ho? Gli uomini sono importanti? Mi hai chiesto. La risposta che tu vuoi e che io non so darti, puoi trovarla solo in te stesso. La tua Clara l'aveva trovata." Si alzò dal letto e tornò verso la finestra. Dopo qualche attimo di silenzio si volse ancora verso Mario. "Ed ora, dopo questa dolorosa confessione che qui ti ho fatto e sempre negherò, pensiamo alle cose serie. L'ora della colazione è passata da un pezzo e giù da basso le nostre amate donne saranno preoccupate. Non facciamole aspettare oltre o saranno guai per tutti e due."
La signorina Susanna era da tempo in paziente attesa. Seduta al suo solito tavolo accanto alla vetrata, aveva osservato con attenzione tutti coloro che erano scesi per la colazione. Quasi tutti se n'erano poi andati per i fatti loro, ma lei era rimasta, insieme a qualche ritardatario sparso qua e là per il salone. Quando vide Gino e Mario comparire nell'atrio, si alzò e si avviò verso di loro curando di dar mostra della massima disinvoltura. "Buongiorno! - disse reclinando carinamente il capo - Stavo giusto risalendo nella mia camera, ma se voi me lo consentite sarò felice di trattenermi ancora un poco e sedermi accanto a voi. La giornata è così uggiosa... e per una donna sola come me il tempo non passa mai. Non vorrei però disturbare." "Ma cosa dice, signorina Susanna! La sua compagnia sarà per noi un raggio di sole in questa giornata tediosa e buia. E' vero Mario?" "Certo, certo - fece l'altro rassegnandosi ad una mattinata che, iniziata male, stava per concludersi peggio - si accomodi qui con noi." La pioggia continuava imperterrita ad allagare il piazzale al di là della vetrata. Affacciati alle finestre dell?edificio di fronte inquilini sconsolati pensavano al modo migliore di arrivare velocemente a sera, per tornarsene a letto. "Lei signor Gino è un vero gentiluomo, come pochi al giorno d'oggi. - esordì la signorina Susanna dopo che tutti si furono seduti - In questo Istituto non c'è nessuno al suo pari per garbo e cortesia. Sono tutti così gretti e scostanti! Mi chiedo spesso perchè un uomo come lei, non abbia mai avuto una donna al suo fianco, perchè nessuna sia mai riuscita a conquistarlo. Anche qui è sempre così solo." "Me lo chiedo anch'io, - rispose distrattamente Gino, facendo posto all'inserviente che deponeva la colazione sul tavolo - chissà perchè. Forse nessuna donna s'è accorta di queste mie qualità" "Non credo proprio, signor Gino. Lei non conosce le donne. Non sono così cieche e stupide. Forse è lei che non sa riconoscere una donna innamorata. Forse non sa accorgersi di quando una donna desidera donarsi. Mi perdoni l'ardire, signor Gino, ma lei è mai stato innamorato?" "Non saprei.. - rispose Gino inzuppando cautamente la brioche nel caffellatte - A volte mi viene questo dubbio. Forse non so riconoscere i sintomi dell'amore, perchè dicono che questo sentimento sia come una malattia.. Ma ci sono tanti tipi di malattie. Non è facile, mi creda. No, non le saprei dire signorina Susanna." "Non è possibile, signor Gino! Quando l'amore c'è si riconosce, eccome! Forse lei fino adesso non ha incontrato la donna che l'abbia fatto veramente innamorare. Vede, io lo conosco bene l'amore. So cos'è. Io nella mia vita ho tanto amato e tanto sono stata ricambiata. Che sarebbe stata la mia vita senza l'amore? Come questo giorno di pioggia uggioso e insopportabile. L'amore cambia la vita. Come se adesso l'azzurro cacciasse queste nuvole opprimenti e il sole irrompesse con la sua luce radiosa e il suo calore. E quando un amore finisce, perchè purtroppo anche gli amori possono finire, non c'è più vita. C'è solo la smania frenetica di innamorarsi ancora. Peccato che lei non l'abbia provato, signor Gino. Lei non sa cosa ha perso. Riconosco però che per innamorarsi occorre, nel suo caso, incontrare la donna adatta. Colei che sappia e voglia donarsi. Senza riserve. Senza nulla chiedere per sè. E questo non è facile. " Affatto interessato all'apologia dell'amore che si stava celebrando, Mario vagava con lo sguardo qua e là per il salone, soffermandosi sulle poche persone ancora ai tavoli, sulle donne delle pulizie che avevano già cominciato il loro lavoro, sulle gocce di pioggia che scorribandavano sulla vetrata, sui particolari architettonici del salone che, a suo giudizio, facevano veramente schifo. "Fortunata lei signorina Susanna che nella sua vita ha tanto amato e tanto si è donata! - riprese dopo qualche attimo Gino, sollevando sconsolato gli occhi dalla tazza del caffellatte inesorabilmente vuota - Così adesso, sazia della sete d'amore, lei potrà guardare al futuro serenamente e senza alcun rimpianto." "Ma nemmeno per sogno! Ma come fa a non capire signor Gino? Lei è ingenuo come un bambino. Un amore può finire, ma la voglia d'amore no! Anzi, più si è amato e più si desidera amare. Vivere senza amore dopo aver tanto amato è come un lento morire. Non esiste un momento della vita in cui si possa dire 'Ecco, ora mi basta il ricordo.' . E quando mai? L?amore più bello, più grande è sempre quello che verrà. E l'età non ha nessuna importanza, mi creda. Io, per esempio, mi sento ancora una ragazzina. Ma per amare bisogna essere in due, per donarsi bisogna che l'altro sia pronto ad accoglierti. Occorre che le sue braccia si aprano, che il suo cuore si schiuda al suo calore. Mi ha compreso signor Gino? Mi ha compreso?" La signorina Susanna si era così accalorata nella conversazione che i rari commensali nei tavoli vicini non avevano occhi ed orecchi che per lei ed il suo interlocutore. Quand'ebbe finito di parlare gli occhi di tutti si puntarono su Gino. Tutti aspettavano ansiosi la sua risposta. Anche Mario, lasciato per un momento il salone e tutto il resto, lo stava guardando con aria interrogativa. "Gentile signorina Susanna, sento che le debbo delle scuse e delle spiegazioni - riprese dopo qualche attimo Gino facendosi improvvisamente serio - Quando poc'anzi le ho detto di non sapere se mai avessi conosciuto l'amore le ho mentito. Gliene chiedo umilmente scusa. In realtà anch'io sono stato innamorato. Un solo amore, ma così grande che ancora il mio cuore ne trabocca. Si chiamava Elisa. Ci conoscemmo un pomeriggio che l'estate era appena cominciata. Io non so se per tutti l'amore può tanto, ma a noi sembrava di volare. Non esisteva nessun altro. Solo noi. Solo a noi il destino aveva fatto il dono di tanta felicità. O forse, dico adesso, volle farci quel dono straordinario ben sapendo che presto se lo sarebbe ripreso. Dopo una notte pazza a passeggiare abbracciati sotto la pioggia l'inverno se la portò via con sè. Vede signorina Susanna, lei ha detto poc'anzi che un amore può anche finire. Non un amore come il nostro. Io non posso innamorarmi ancora perchè io sono ancora innamorato. Elisa è ancora qui con me. Quanto le ho detto, non l'ho mai rivelato a nessuno. Neppure a Mario, accanto a noi. Il buon Mario che è il mio migliore amico, anzi, il solo amico, che conosce tutto di me. A lei di animo così gentile e sensibile, che ha avuto la bontà di aprirmi il suo cuore, io non potevo non dischiudere il mio." "Ho capito, ho capito - farfugliò sommessamente la signorina tormentando con le mani ossute la borsetta sulle ginocchia - Ma s'è fatto veramente tardi. Sarà bene che torni nella mia camera." Nel salone il silenzio era totale. Anche le donne delle pulizie avevano posato i loro attrezzi e in piedi appoggiate alla vetrata, erano rimaste in attento ascolto. Qualche anziana signora ai tavoli era visibilmente commossa. Dopo che la signorina Susanna si fu allontanata, Gino e Mario rimasero qualche minuto in silenzio. Poi si alzarono dal tavolo e lentamente si avviarono verso la scalinata che conduceva alle camere. "Però Gino, non ti facevo bugiardo fino a tal punto - disse Mario voltandosi verso l'altro quando furono soli - perchè non le hai detto la verità?" "Era necessario, Mario. E' stato bene così" Gino si era fermato sul pianerottolo, qualche gradino più in giù. A Mario parve di scorgere in quel momento un altro Gino, diverso da quello ciarliero e provocatore che ben conosceva. Come se una ventata gelida lo avesse improvvisamente caricato d'anni e di un oscuro fardello. Non aggiunse altro. Appoggiandosi con la mano alla ringhiera, riprese a salire lentamente le scale.
L'ora del pranzo era lontana, lontanissima, forse irraggiungibile. Seduto sulla sponda del letto, accanto a una scatola da biscotti ricolma di cianfrusaglie, Mario girava e rigirava tra le mani una vecchia cartolina sgualcita. 'Rimini' c'era scritto in alto a caratteri cubitali e in technicolor. Sotto, una bella ragazza sorrideva, sdraiata su una spiaggia inondata di sole. "Gino, sei mai stato a Rimini?" "No. Ci andrò appena riuscirò ad evadere da questa galera, a rinforzarmi l'abbronzatura che ultimamente s'è un po' sbiadita. Tu ci avrai passato la vita, immagino, se me lo chiedi" Gino aveva ripreso il suo posto di osservazione davanti alla finestra. Il colloquio con la signorina Susanna l'aveva messo di pessimo umore, caso mai la pioggia non fosse bastata. "Ci sono stato una volta - riprese Mario - con Clara, tornando dal viaggio di nozze. Un giorno soltanto. E di allora non mi ricordo quasi niente. Ora però guardando questa cartolina, m'è tornata alla mente una cosa curiosa. Quel giorno, passeggiando sulla spiaggia, fui attratto da qualcosa di insolito, di molto bello. Qualcosa che mi colpì. Ricordo bene che mi dissi: "Questo te lo devi ricordare perchè merita. Non te lo dimenticare mai." "E cos'era questo qualche cosa di così importante?" "Questo è il problema. Me lo sono completamente dimenticato. Tutto il mio impegno di allora per ricordarmelo non è servito a niente. Dissolto, svanito. Hai qualche suggerimento per rinfrescarmi la memoria?" "Certo. Ho ancora da qualche parte un opuscolo intitolato: Cose importanti da non dimenticare. Me lo ricordo benissimo. Se vuoi ti faccio un elenco: Chiudere il gas quando si esce di casa, pagare la bolletta della luce, prendere l'ombrello se piove, ..continuo?" "No, può bastare - tagliò corto con un sospiro Mario riponendo la cartolina nella scatola - oggi non è giornata. Aspetterò che torni il sole. Tu continua pure a guardare la pioggia, che veramente merita." "E? vero - fece Gino - Ha qualcosa di magico, di soprannaturale.. Secondo me gli scienziati non ci hanno mai capito niente. Che tristezza però vedere un uomo come te, tutto sommato, ancora in grado di intendere e di volere così ossessionato dall'idea dell'importanza. Sei inguaribile senza speranza. Ma cosa vuoi che sia successo a Rimini quel giorno? Una cavolata qualunque, di quelle che si ripetono tutti i giorni nell'indifferenza generale. Solo che a te, particolarmente in fregola per la coincidenza nuziale, sarà sembrato chissà che cosa, un evento unico, irripetibile ...da non dimenticare mai.. E poi, caro Mario, i ricordi ti consiglio di lasciarli stare nel dimenticatoio, che tanto comunque essi siano, non potranno che farti del male. Se son brutti, e sicuramente quelli abbondano sempre, aggiungeranno altro male a quello che l'età già ci propina. Se son belli, e può darsi che qualcuno ce ne sia, ti faranno male lo stesso perchè ti ricorderanno un tempo che non c'è più. Alla larga dai ricordi! La nostra vita è cominciata stamattina, purtroppo con questo giorno di pioggia. E con l'ineffabile signorina Susanna. E siccome nessuno potrà mai convincerti di niente, mentre tu continuerai ad arrovellarti per ricordare qualcosa che avresti dovuto ricordare e che invece ti sei irrimediabilmente dimenticato, io mi sprofonderò su quella soffice poltrona e 'mediterò' fino all'ora di pranzo. Non c'è niente di più esaltante che meditare quando fuori piove. E non disturbare. Solo se quando suonerà la campana del rancio sarò ancora,diciamo, in meditazione, sei autorizzato a strattonarmi un pochino, con dolcezza"
Il pomeriggio si preannunciava tale e quale al mattino, con il vantaggio, se vogliamo, di una maggior vicinanza della notte, e quindi del momento di ritornarsene a letto. Giù nel salone il pranzo era terminato da poco e i ritardatari ancora presenti erano alle prese con le donne delle pulizie che, con garbo e delicatezza, li sollecitavano a sbrigarsi ed a levarsi rapidamente di torno. Degli altri commensali, alcuni girovagavano per l'atrio in attesa di una ispirazione folgorante sul come arrivare a sera, altri, più decisionisti, già si erano indirizzati risolutamente alle proprie camere. Per la pioggia non c'era problema. Lei continuava indifferente ad allagare il piazzale, a inondare la vetrata del salone e ad annacquare gli umori degli abitanti del Palazzo. E così avrebbe continuato, presumibilmente, fino alla fine dei secoli. Gino e Mario, su due sedie addossate alla parete, osservavano i presenti, commentando le novità per lo più in peggio, rispetto al giorno precedente e le assenze temporanee e definitive. Quando anch'essi furono sul punto di alzarsi ed avviarsi verso la scalinata, dal brusio che ristagnava nell'atrio emerse nitida una voce: "Fate largo che passa la Benemerita" La voce era di Gustavo, detto il Rosso. Una vita passata a cavar marmo dai monti prima che un lastrone testardo e menzognero lo convincesse alla pensione anticipata. Senza dir niente a nessuno e con evidente intento vendicativo, quello, staccato a fatica dalla parete, anzichè ruzzolare dalla parte giusta era rotolato dall'altra, dove c'era Gustavo. E perchè lui si rammentasse bene di quel freddo e brumoso mattino gli aveva lasciato anche un ricordo tangibile: un tremore alle gambe che lo accompagnava dall'alba al tramonto, sia che passeggiasse su e giù per i corridoi dell'Istituto sia che sostasse in piedi appoggiato all'inseparabile bastone. Gustavo si portava dentro un rimorso, e tutti lo sapevano. Quello di aver profanato le sue verdi montagne. Quelle montagne che al mattino, quando usciva di casa, gli venivano incontro a regalargli il sole e la notte, dalla finestra di camera, vedeva dormire sotto le stelle. La vista dei suoi monti violentati e feriti, col tempo gli era diventata insopportabile. Non riusciva a darsene pace. Il suo compagno di camera diceva che talvolta lo trovava seduto accanto alla finestra a piangere. L'appellativo 'il Rosso' , come spesso succede, era di incerta origine. Alcuni lo facevano derivare dal colore delle guance rubiconde, specialmente dopo pranzo, altri da quello delle sue idee non propriamente filoclericali. Non era però escluso un concorso di cause. Gustavo stava giusto commentando la qualità e la quantità del vino servito a tavola, a suo giudizio infime tutte e due, quando sulla porta dell?atrio era comparso il Generale in tutto il suo splendore. Una lunga vestaglia bordeaux stretta alla vita con un cordone dorato, un foulard bianco annodato al collo, calzini con giarrettiere e pantofole con il simbolo dell?Arma trovate chissà dove, addobbavano una cariatide tronfia ed impettita, olezzante di colonia e brillantina. Del Generale ben pochi conoscevano il nome. Tutti sapevano che in un modo o nell'altro avesse dei trascorsi nell'Arma, ma nessuno sapeva dire con precisione quali e quando. La versione ufficiale fornita dall'interessato era che avesse fatto una rapida e brillante carriera fino ai gradi più elevati prima di rovinarsi completamente per una nobildonna di origini russe che s'era perdutamente innamorata di lui. I maligni, di cui Gustavo il Rosso era l'esponente di spicco e portavoce, affermavano invece che lui avesse effettivamente prestato servizio nell'Arma, ma solo per brevissimo tempo prima di esserne cacciato per una storia di magnacci e di puttane. "Fate largo che passa la Benemerita", beffardo, insolente, provocatorio. Il Generale si arrestò, avanzò fino a Gustavo e, sovrastandolo in tutta la sua possanza, impettito e con le mani ai fianchi: "Perchè lei ha qualcosa da dire contro l'Arma?" Il Generale, dava del lei a tutti perchè fosse ben chiaro che un rappresentante dell'Arma aveva il dovere di badare a loro, alla loro incolumità e alle loro piccole beghe quotidiane, ma che non era uno di loro. Si malignava che usasse dare del lei anche alla moglie, prima che la poverina decidesse di togliere il disturbo. "Me ne guarderei bene, signore - rispose Gustavo rannicchiandosi sul suo bastone - il mio era solo un invito a lasciar passare un degno rappresentante dell'Arma" "Un rappresentante dell'Arma è l'Arma! - replicò il Generale protendendosi su Gustavo neppure volesse mangiarselo - Un brigadiere è l'Arma. Un maresciallo è l'Arma. Un generale è l'Arma. Io sono l'Arma. Chi offende Me offende l'Arma." Gustavo già si preparava allo scontro quando a suo salvamento intervenne Gino dalla sua sedia in fondo all'atrio. "Non si adombri eccellenza, Gustavo con il suo intervento scherzoso voleva in definitiva rendere un riguardoso ossequio ad un Arma che tanti servigi ha prestato nei secoli al Paese." Il Generale rimase un attimo perplesso, incerto se considerarsi soddisfatto da tale chiarimento riparatore o considerarlo invece un'aggravante del precedente sacrilego intervento. Ripiegò per una via di mezzo: "Può ben dirlo signor Gino. Se non ci fosse stata l'Arma, di cui io mi onoro di aver fatto parte e che ho servito con filiale devozione, a far rigar diritto certi anarchici e comunisti, questo sarebbe ora un Paese di delinquenti e mendicanti. Bene ha fatto il popolo a chiamarla Benemerita. E come lei ben sa: vox populi, vox dei." "E' proprio quello che penso anch'io, - replicò Gustavo strozzando con le mani l'impugnatura nodosa del bastone - solo che non mi venivano le parole. Io non ho studiato il latino." Finalmente soddisfatto e appagato il Generale, seguito dal codazzo dei suoi fedelissimi, si allontanò lasciandosi alle spalle un Gustavo un po' più rosso e tremolante del solito. Anche l'atrio in breve si svuotò. Rimasero Gino e Mario sulle loro sedie bianche, da ospedale, e un vecchietto che non se l'era sentita di affrontare le scale e s'era addormentato, si spera, su una sedia poco più in là
"Stammi a sentire, Mario - fece Gino accostandosi all'amico con fare da carbonaro - noi dobbiamo evadere da questa galera o ne usciamo pazzi tutti e due." "Certo - rispose l'altro ? E come?" "Ho un piano. L'ho visto in un film alla televisione e penso che potrebbe funzionare. Ascoltami bene e dimmi che ne pensi. Tu ti rannicchi ben bene in fondo ad un carrello da supermercato, di quelli più grossi che ci sono qui dietro l'Istituto, ed io ti ricopro completamente con della biancheria sporca: lenzuola, mutande e calzini sudici e puzzolenti. Da queste parti non mancano. Poi spingendo il carrello mi presenterò all'uscita. Il portiere mi chiederà "E tu dove pensi di andare?" "A portare questa biancheria in lavanderia." risponderò io. Lui proverà ad accostarsi per controllare, ma poi per il puzzo ci rinuncerà e dirà: "Vai, ma bada di tornare subito!" " E se per caso decidesse di controllare il carrello io schizzerò fuori e lo stenderò a bastonate." intervenne Mario. "Ecco.. E appena fuori salteremo sul primo treno merci di passaggio e ce ne andremo dove ci porterà. Che te ne pare?" Mario rimase qualche attimo pensoso, tormentandosi il mento con le dita. Poi sentenziò: "Non funzionerebbe" "E perchè" "Per due motivi. Primo: io nel carrello non c'entro, e se anche c'entrassi, a piegarmi mi troncherei in due o tre pezzi. Secondo: sotto la biancheria sporca dei nostri coinquilini io non sopravviverei più di un minuto. Studiati un altro piano perchè nemmeno questo va bene." "Lo sapevo, lo sapevo?ì, sei il solito disfattista." disse Gino alzandosi ed avviandosi sconsolato verso la finestra. Dopo qualche attimo, senza nemmeno aver guardato fuori cominciò a gironzolare su e giù per l'atrio. Ritornò ancora alla finestra. Se ne tornò a sedere. "Allora, signor 'tu mi stufi', pensiamo almeno al modo di arrivare vivi a stasera. E ti prego di assumere un atteggiamento collaborante e costruttivo. Prima però verifichiamo una cosa." Si alzò, si avvicinò al presunto dormiente in fondo all'atrio e chinatosi leggermente verso di lui lo guardò attentamente rimanendo qualche attimo in ascolto. Tornò a sedersi accanto a Mario. "E' vivo, - disse - ed ora torniamo a noi. Procediamo per esclusioni. Il campo da bocce a quest'ora sarà un lago, e quindi della solita partitina pomeridiana non se ne parla nemmeno. Una passeggiata nel parco non è consigliabile, considerata la pioggia, assassina, come noto, di gatti e di vecchietti. Un pomeriggio a giocare a tombola o a carte, o alla televisione a guardare telefilm e soap opere non è neppure da prendere in considerazione. Rimangono due possibilità ritornarsene in camera a leggere qualcosa o mettersi subito a letto cercando di dormire fino a domattina. Cosa suggerisci?" Mario guardò fuori della vetrata e sospirò. "Se fossi capace di dormire sedici ore di filata o se la mia vista fosse ancora quella di una volta, la scelta non sarebbe difficile. Ma non è così. Ti suggerisco allora una terza soluzione. Tu che sei ancora un giovincello te ne torni in camera a leggere. Io, uomo di scarsa cultura ed ormai prossimo all'eternità andrò a rompere un po' le scatole al buon Giacomo, l'unico, pare, che gradisca la mia compagnia." "Suggerimento accettato - fece Gino alzandosi e battendo la mano sulle spalle dell'amico - Guarda però di essere puntuale alla cena, perchè checchè tu ne dica, io senza di te non mangio." Mario rimase a guardarlo mentre si allontanava verso le scale, con il portamento eretto ed il passo sicuro che tanto piacevano alla signorina Susanna. "Da un altro mondo. - pensò - Un essere così non può che venire da un altro mondo. Non si meritava di finire i suoi giorni in questo covo di vecchi rimbambiti"
Giacomo se ne stava seduto su una vecchia poltrona di vimini sotto il porticato retrostante l'Istituto, a guardare la pioggia che cadeva monotona. Davanti a lui un piccolo Eden con aiuole leggiadre di fiori accuratamente assortiti, siepi e vialetti che si rincorrevano tra pozzanghere ed alberi austeri, ed una mogia fontana con quattro pesci rossi in paranoia, grondava acqua come un bucato appena steso. Quel piccolo parco era tutto il suo mondo. Vi aveva fatto ingresso che era appena un ragazzo. Era morta sua madre, e il padre, giardiniere in quell'Istituto, per non lasciarlo solo in casa, aveva deciso di portarlo con sè perchè l'aiutasse nel suo lavoro. Col tempo il direttore aveva loro concesso un paio di stanzette sul retro perchè le utilizzassero come abitazione. E il parco e quelle stanzette erano diventate il loro mondo e la loro prigione. Di li non erano più usciti, salvo quelle rarissime volte in cui occorrevano nuovi attrezzi o materiale per il loro lavoro. Poi suo padre era morto e lui era rimasto solo. Con le aiuole fiorite da vangare, le siepi e i vialetti da potare e ripulire e i pesci rossi da contare ogni mattina, caso mai qualcuno fosse passato a miglior vita.. Mario si sedette accanto a lui. "Se continua così questa pioggia farà marcire le tue piante." esordì Mario che in fatto di botanica non avrebbe saputo distinguere un ciclamino da un crisantemo. "La pioggia la manda Dio e lui sa bene quel che fa." rispose Giacomo. "Certo, certo" Speriamo comunque che domani venga un bel sole che asciughi tutta quest'acqua" "Anche il sole lo manda Dio." Iniziare una conversazione con Giacomo richiedeva una pazienza ed uno spirito di sacrificio francescani, virtù molto rare tra gli abitatori del Palazzo sempre molto impegnati in litigi, ripicche e battibecchi. Per questo motivo Giacomo, quando non era nel parco a zappettare le sue piante, rastrellare i vialetti o a chiacchierare coi pesci rossi nella fontana, se ne stava di solito in un angolo del portico, da solo, a confezionare ceste e panieri o assorto nei suoi pensieri. Quando Mario si era avvicinato, aveva appena terminato un paniere che teneva ancora sulle ginocchia. "Bello quel paniere - fece Mario provando un diverso approccio - L'hai finito adesso?" "E' l'ultimo nato. Ti piace? Me l'ha chiesto la figlia del direttore. E' stato mio padre ad insegnarmi. Quando avevamo finito il nostro lavoro lui si sedeva qui, dove sei seduto adesso tu, e mi insegnava a preparare i vimini e le canne e a intrecciarli tra loro. Aveva pazienza, mio padre. Era un buon maestro. Così adesso, quando non so che fare o quando piove, come oggi, mi metto a fare qualche paniere o qualche cesta tanto per passare il tempo. E come vedi, quella sedia la metto sempre qui, accanto a me." "Sarebbe piaciuto anche a me - riprese Mario - ma non c'è mai stato nessuno che m'insegnasse. Mio padre se ne stava tutto il giorno in negozio con i clienti, e quando tornava a casa la sera era troppo occupato a litigare con mia madre per ricordarsi di me. E, guarda caso, il motivo dei litigi ero spesso proprio io. Lui avrebbe voluto che io seguissi la sua strada, che diventassi un commerciante come lui. "Quando sarai grande metteremo su un negozio, io e te, che farà schiattare d'invidia tutti i nostri concorrenti." mi diceva. Mia madre invece sognava per me un futuro da grande musicista. Quale lei sarebbe certamente diventata se non avesse incontrato quel pizzicagnolo stronca carriere di mio padre. Così diceva. "Per lui contano soltanto i prosciutti, i salami e le mortadelle." E così appena trovato un lavoro, ho fatto le valigie e me ne sono andato via da casa per poter fare quello che mi piaceva." "E poi sei riuscito a farlo?" "No, ma questo è un altro discorso." Mario raccolse il paniere dalle ginocchia di Giacomo e lo osservò con attenzione girandolo e rigirandolo tra le mani. Poi lo ripose a terra, ai suoi piedi. "Ma tu, perchè te ne stai sempre in disparte? - aggiunse - Qualche volta lascia da parte i tuoi panieri e vieni a trovarci, così si sta insieme e si chiacchiera un po'. A noi vecchietti è rimasto solo questo. Specialmente in giornate come questa" "Che vuoi farci - fece Giacomo allargando le braccia - ormai mi sono abituato così. E poi non sono di gran compagnia. Con gli altri mi sento a disagio perchè abbiamo interessi e un modo di pensare diversi. Con loro non so mai che dire, e poi i loro discorsi francamente mi annoiano. Con te e qualcun altro è diverso" Si interruppe per qualche attimo a guardare il cielo che continuava imperterrito a grondare pioggia. "Qualche giorno fa è venuto a trovarmi Beppe - continuò - Stavo vangando un'aiuola per mettere a dimora dei ciclamini. Lo sai, vero, che l'autunno è la stagione dei ciclamini? 'Stai attento agli strapazzi' - mi ha detto che alla nostra età dobbiamo riguardarci" Era bravo, Beppe. Aveva portato da mangiare ai gatti. Tutti i giorni, dopo pranzo, preparava un piattino con gli avanzi e glielo metteva in terra, dietro la fontana. Poi stava a guardare mentre mangiavano. Era bravo. E pensare che di lì a qualche giorno... Una volta ho visto che il direttore lo rimproverava e gli diceva di smetterla perchè così avrebbe richiamato tutti i gatti del vicinato. E lui gli ha risposto: "Allora faccio le valige e me ne vado." Ma poi è rimasto e ha continuato a fare quello che voleva. E poi dove sarebbe andato? Non aveva più nessuno. Adesso ai gatti ci penso io" "Senti Giacomo, scusa se insisto, ma continuo a pensare che dovresti uscire un po' dal tuo recinto. A forza di star solo sei diventato un orso. Qui ci sono delle persone con cui ti troveresti bene. Gino per esempio è una persona straordinaria. Parlare con lui è sempre un'avventura. Non sai mai dove vai a finire. Lo sai che era un professore? E di quelli bravi. Di quelli che i ragazzi non dimenticano. Me l'hanno detto gli altri, perchè lui non parla mai di sè. Gino non è come noi. Lui ha studiato, sa quel che dice. Eppure non te la fa pesare la sua cultura. Con lui si parla bene. Lui scherza sempre. Pensa che stamani voleva convincermi che gli uomini sono come le formiche. Che non contano niente. Ma non lo pensava mica. Scherzava. Lui è fatto così. Ma tu, piuttosto, non puoi startene sempre da solo con le tue piante e i tuoi panieri" "Io con le mie piante ci sto bene - fece Giacomo con semplicità quasi a scusarsi - Sono belle e riconoscenti. Se le curi e le tratti bene, loro ti ricambiano coprendosi di fiori che è un piacere guardarle. E poi loro dipendono completamente da te. Come fai a non volergli bene? Ora c'è quella camelia in fondo al viale, non so se l'hai vista, che sta morendo. Le sue foglie sono tutte ingiallite e le sta perdendo. Le ho provate di tutte, ma non c'è niente da fare. Anche loro, come gli uomini... Se ne stette qualche attimo in silenzio, poi, accostandosi a Mario, aggiunse: "E poi ti confesso una cosa, ma non dirla a nessuno Mi piacciono i documentari. Quelli che fanno alla televisione." "Tu guardi la televisione? Ma se non ti ho mai visto in sala." "No, un piccolo televisore ce l'ho in camera mia, tutto per me. L'ho comprato apposta. E quando c'è un documentario che parla di paesi lontani, di popoli sconosciuti, di foreste e mari tropicali, io mi accomodo sulla mia poltrona di vimini e me lo guardo in santa pace. E mi sembra di esserci in quei posti! E mi scordo delle mie piante e dei miei panieri. I documentari mi piacciono da morire. Non me ne perdo uno. Solo quelli. Tutto il resto non m'interessa. Lo vedi quindi che il mio recinto non è poi così ristretto.?"
Mario l'aveva capito subito che quella sarebbe stata una giornata particolare. Appena aperti gli occhi, come un presagio. Che si era puntualmente verificato. Prima Gino con i suoi discorsi strampalati sui sassi e le formiche, poi la signorina Susanna e la sua apologia dell'amore, poi ancora Gino con la sua confessione strappalacrime ed ora infine la rivelazione di Giacomo della sua passione sfrenata per i documentari alla televisione. Poteva bastare. La conversazione si trascinò banalmente fino all'ora di cena. Poi Mario salutò Giacomo, non senza avergli rinnovato, senza troppe speranze, l'invito ad una chiacchierata ogni tanto per ammazzare la malinconia. Giù nel l'atrio Gino lo stava aspettando, mentre gli altri coinquilini nel salone avevano già iniziato la cena. Come già a pranzo, la signorina Susanna non c'era. La sua sedia era desolatamente vuota e il tavolo silenzioso. "Ha una terribile emicrania" aveva riferito la sua compagna di camera.
Salvo una breve interruzione nel primo pomeriggio, la pioggia era continuata per tutto il giorno. Anche adesso, standosene seduto sulla poltrona accanto alla finestra, Gino la sentiva di là dai vetri. Dalle camere vicine, dai corridoi, dal salone sottostante, dal piazzale avvolto dall'oscurità non una voce, un suono, il minimo rumore. Con il viso rivolto verso il muro, Mario dormiva nel più assoluto silenzio, le pantofole ben accostate sul pavimento ed il bastone appoggiato alla spalliera del letto. Gino accostò a sè la lampada sul comodino accanto alla poltrona, l'accese e con un libro ne schermò la luce verso Mario, perchè non lo disturbasse. Estrasse dalla tasca della giacca una lettera. "Da parte della signorina Susanna" gli aveva detto sottovoce la sua compagna di camera consegnandogliela dopo la cena. Gino l'aprì e volse il foglio alla luce della lampada. Poche righe in bella calligrafia. "Gentile signor Gino, il solo pensiero di come stamani mi sono presentata a lei mi fa inorridire. Perdoni la pazzia di un momento che mi ha fatto fare e dire cose di cui mi vergogno. Io non sono la signorina Susanna con cui lei stamani si è incontrato. Io non ho mai avuto un uomo da amare, nè da un uomo sono stata mai amata. L'avrei voluto, questo si. L'ho aspettato tutta la vita, ma nessuno ha mai bussato alla mia porta. Vede, signor Gino, io la stimo molto. Pur senza conoscerla a fondo penso di aver compreso molto di lei e della ricchezza di sentire che si porta dentro. Lei può capire cosa vuol dire aspettare l'amore per tutta la vita e rendersi conto un giorno all'improvviso che ormai non verrà più. Che tutto quello che hai fatto non è servito a niente, che gli altri ti sono passati accanto senza accorgersi di tutto il bene e l'amore che avresti voluto donare. E di punto in bianco ti viene la nausea, la ribellione, la pazzia. E per un attimo vuoi cancellarti ed essere tutto il contrario di come sei. Ecco, la signorina Susanna che lei ha conosciuto stamani era questa. Le ripeto, signor Gino, che io ho molta stima di lei. Non potrei continuare a vivere qui sapendo che lei mi considera la signorina Susanna che non sono. La prego, dimentichi il nostro incontro di stamani. Come se non fosse mai avvenuto. Per favore. Susanna" Spense la luce. Quand'era ragazzo gli piacevano le stelle. Nelle sere d'estate se ne stava ad ore sprofondato su una sdraio in mezzo al cortile di casa col naso all'insù. Le stelle lo affascinavano. E gli piaceva immaginarsi su una piccola astronave a vagare tra quei mondi fiammeggianti a mille anni luce dalla Terra, lui solo a tu per tu con l'infinito. Poi col passare degli anni le stelle le aveva un po' perse di vista, ma ogni tanto ci saliva ancora su quell'astronave, quando il mondo gli diventava opprimente e insopportabile. Con la lettera ancora tra le mani, Gino tornò istintivamente per un attimo a quelle sere. Avrebbe voluto andarsene, fuggire, lasciarsi tutto alle spalle: l'ansia e l'inquietudine di Mario, la solitudine di Giacomo, i rimorsi di Gustavo, l'angoscia disperata della signorina Susanna. E lasciando anche Gino, quel Gino che non riusciva ad essere se stesso e si nascondeva dietro un cinismo e un sarcasmo che lui stesso detestava. E lasciando quel giorno di pioggia insopportabile. Guardò Mario che dormiva. Come un bambino, pensò Gino. 'Il buon Mario, il solo amico che conosce tutto di me.' Aveva detto la mattina alla signorina Susanna in cerca d'amore. Ma non era la verità? Voleva bene a Mario. Questo si. E certo Mario lo conosceva meglio di chiunque altro. Ma quello che si portava dentro neppure lui lo sapeva. 'Perchè non le hai detto la verità' gli aveva chiesto sulle scale. E che avrebbe dovuto dire? Che non si era mai sposato perchè le donne ai suoi occhi erano solo pidocchi? O perchè il destino non gli aveva fatto incontrare una donna come la sua Clara? Che cosa avrebbe dovuto raccontare? O forse avrebbe dovuto raccontare un'altra storia. Un'altra che neppure Mario conosceva.. Ma certe verità non si possono raccontare. Fanno parte di te. Non puoi condividerle con altri. Quelle verità sei condannato a tenertele dentro finchè vivi. Talvolta finchè ti uccidono. Tornò ad ascoltare. A lui la pioggia non aveva mai arrecato nulla di buono. 'Domani vado via. Non posso più stare con te. C'è un altro nella mia vita...' Pioveva. Lei era davanti alla finestra. Lo aspettava. 'Domani vado via...' Lui non aveva nemmeno fatto in tempo ad appendere l'impermeabile all'attaccapanni. 'Domani vado via' aveva detto. Era davanti alla finestra. Fuori pioveva. Almeno fosse riuscito a dimenticarlo quel giorno. O per lo meno a cacciarlo giù e seppellirlo in fondo al pozzo dei ricordi. Macchè quello era sempre lì pronto a spalancarsi davanti a lui, a spaccargli ancora una volta l'anima, se soltanto lui si fosse lasciato prendere dalla malinconia, se fuori pioveva.
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