Ragioniere Gilberto Formigoni Sulla scrivania nel suo ufficio, in una targhetta d'ottone tirata a lucido, con bellissima calligrafia era scritto 'Rag. Gilberto Formigoni' e sotto 'Contabile'. Mezze maniche nere su una camicia bianca immacolata, gilet grigio e papillon a pois. Portamento austero, come si conviene. In azienda le sue doti professionali erano quasi leggendarie. In fatto di contabilità la sua precisione era assoluta, l'esattezza matematica, il rigore scientifico.. Lo stesso direttore si rivolgeva a lui con soggezione e deferente rispetto. I colleghi d'ufficio lo consideravano alla stregua di un oracolo. "L'ha detto Formigoni" troncava sul nascere ogni discussione. Formigoni non poteva sbagliare per il semplice motivo che in cinquant'anni di servizio non aveva sbagliato mai. Per lui la contabilità era un'arte, l'essenza della vita. Dove gli altri vedevano un romantico bosco d'autunno, lui vedeva 14 faggi, 12 lecci e 36 castagni. Un ameno paesaggio rurale era per lui 47 pecore, 4 montoni, ed 1 pastore, anziano e claudicante dalla gamba sinistra. Ma anche per il ragionier Formigoni giunse il giorno del pensionamento. Lui fece di tutto per rimanere in servizio fino a morte naturale, ma quando il direttore gli spiegò che se lo avesse trattenuto ancora, sarebbe andato in galera, si rassegnò. Dopo una breve festicciola d'addio in ufficio, dove ebbe modo di constatare che le 7 persone presenti si erano fatte fuori 48 pasticcini, con una media di 6,857 pasticcini a testa, varcò per l'ultima volta il portone dell'azienda. Se ad una persona fosse stato concesso dal Padreterno di partecipare al proprio funerale, quella persona non sarebbe stata più affranta di lui in quel momento. Ma Formigoni non era tipo da scoraggiarsi facilmente. In azienda avevano deciso di fare a meno di lui? Peggio per loro. Lui avrebbe dirottato la sua nobile missione verso altri lidi. In ambito domestico, tanto per cominciare. Si allestì un piccolo ufficio disponendo una scrivania in un angolo del salotto, con la targhetta personale che si era portato a casa bene in vista, e iniziò a contabilizzare tutto ciò che atteneva alla casa: entrate, cioè la sua sola pensione, ed uscite, rigorosamente suddivise tra affitto, spese per il vestiario, per il mangiare, luce, gas, ecc. Ma anche il patrimonio immobiliare, piatti, stoviglie, tazze e tazzine, suppellettili e tutto ciò che era presente in casa. Tutto registrava meticolosamente, ne annotava le variazioni, le confrontava da una settimana all'altra, compilava tabelle e disegnava grafici per studiarne l'andamento nel tempo. Ogni venerdì poi, alle nove in punto, convocava la moglie nel suo ufficio, la faceva sedere di fronte a sè al di là della scrivania, e con l'aiuto di una lavagnetta le illustrava la situazione domestica, snocciolando numeri, tabelle e grafici. Esigeva poi che la santa donna, con penna e quadernetto, prendesse nota di tutto quello che lui andava esponendo. Apprezzava molto qualche intervento ogni tanto o richiesta di chiarimenti. Per la moglie, con la pensione del marito, la disperazione aveva fatto il suo ingresso tra le mura domestiche.. Ma per il ragionier Gilberto Formigoni tutto questo era troppo poco, decisamente inappagante, non certo all'altezza delle sue possibilità. Avrebbe voluto qualcosa che lo impegnasse al meglio, qualcosa che stupisse il mondo intero, qualcosa per cui i posteri potessero dire "Questo è merito del ragionier Gilberto Formigoni." E quel qualcosa finalmente lo trovò. Una sera, dopo una passeggiata meditativa di 356 passi intorno alla casa. Miriadi di stelle scintillanti. La loro visione lo commosse. Non che non sapesse che c'erano, ma, tutto preso com'era dalla sua missione contabile, se n'era semplicemente dimenticato. Si ricordò allora di quando da ragazzo, in una sera d'inverno, alzando gli occhi al cielo era rimasto colpito, anche allora, da tutte quelle stelle e come esse avessero suscitato in lui, pur così giovane e inesperto, l'impulso irrefrenabile di contarle. Ma era troppo giovane allora e le vicende della vita lo avevano poi distolto da così nobile intendimento. Sulla porta di casa, come altri sulla via di Damasco, Formigoni ebbe allora una folgorazione. Capì che quello era il compito che il destino gli aveva assegnato: effettuare un censimento di tutti quei corpi celesti che il buon Dio aveva messo a volteggiare sopra le loro teste. Nessuno l'aveva mai fatto. Nessuno ci aveva mai pensato. Perchè? Semplice. Perchè nessuno si riteneva in grado di farlo. Ora il destino aveva chiamato il ragionier Gilberto Formigoni. Lui poteva farlo. E lui aveva il dovere di rispondere. Mandò subito al diavolo la contabilità domestica, tra lo stupore della moglie che non credeva al miracolo, e si organizzò per l' impresa con tutto l'entusiasmo dei suoi settant'anni. Le condizioni non potevano essere più favorevoli. La sua vista, grazie a Dio, era ottima. La sua casa si trovava in campagna, non disturbata dalle luci e dall'inquinamento della città. Un po' dietro la casa sorgeva una piccola altura, un semplice rialzo del terreno, che gli abitanti della zona, abituati al piattume desolante delle loro contrade, chiamavano, con leggera esagerazione, 'la montagna'. Quella sarebbe stata un perfetto punto di osservazione. Occorreva un'attrezzatura idonea. Altrimenti, con tutte quelle stelle sparpagliate in un campo di osservazione così ampio, la conta si sarebbe ben presto confusa ed interrotta. Bisognava restringere e delimitare il campo di osservazione. Dopo molte notti trascorse in studi e progetti, Formigoni, con l'aiuto della moglie che gli passava gli attrezzi e il materiale, e gli teneva ferma la scala, dette inizio alla costruzione. L'attrezzatura consisteva in una specie di gabbia semisferica appoggiata sulla radura in cima alla montagna. Al centro, ben fissato a terra ma libero di inclinarsi e di ruotare come una poltrona da barbiere, c'era un sedile con poggiatesta. Su di esso Formigoni avrebbe preso posizione per la sua conta. Davanti un piccolo tavolino per gli appunti e una lanterna. Sulla gabbia poi, mobile su e giù a destra e a sinistra, c'era una specie di cornice bianca, nè più nè meno come quella di un quadro. La cornice veniva spostata, su comandato da terra, mediante delle funi. Con questa attrezzatura Formigoni, stando al centro della gabbia sulla sua poltrona siderale poteva contare senza confondersi le stelle delimitate dalla cornice. Poi spostava la cornice e contava le altre stelle che venivano racchiuse e così via fino a contare tutte le stelle del firmamento. Cominciò. E già la prima sera sorse un problema. Lo spostamento della cornice non poteva essere comandata da lui stesso. Se lui si fosse mosso dal sedile per farlo, l'allineamento esatto della cornice sarebbe stato impossibile. Occorreva un'altra persona. La moglie. Accanto alla sua poltrona allora mise un campanaccio con una cordicella. Quando aveva finito di contare le stelle nella cornice, e la conta doveva essere ripetuta varie volte per maggior precisione, suonava il campanaccio. La moglie allora, opportunamente istruita, si alzava dal letto, si metteva una vestaglia e risaliva la montagna. Di notte. Qui giunta, su comando del marito, spostava la cornice secondo la bisogna. Poi scendeva dalla montagna e ritornava a dormire. La cosa funzionava. Formigoni era molto soddisfatto. La moglie meno. Si presentò però un altro problema. Al limitare della piccola radura in cima alla montagna, c'era un albero, non proprio centenario, ma certo con un bel po' d'anni tra le fronde. Il contadino proprietario del terreno, gli era molto affezionato perchè era stato piantato da suo padre il giorno in cui lui era venuto alla luce. Era convinto, e lo diceva a tutti, che lui e l'albero fossero legati da un comune destino. Il giorno in cui fosse morto, anche l'albero sarebbe seccato, e viceversa. Per l'affetto che gli portava quindi, e non senza un qualche interesse personale, il contadino colmava l'albero di tutte le attenzioni: toglieva gli arbusti e le erbacce alla base del tronco, potava i rami secchi e nella stagione estiva lo innaffiava regolarmente. Di tutto questo però al ragionier Formigoni, preso da sacro furore per la sua missione contabile, non poteva importarne di meno. Quell'albero gli oscurava una parte di cielo e pertanto, per amore della scienza, andava eliminato. Per evitare spiacevoli discussioni e liti, inevitabili se l'abbattimento fosse stato alla luce del sole, si orientò verso l'avvelenamento lento in orario notturno. Ogni notte, quando risaliva la montagna per prendere posizione sulla sua poltrona siderale per la conta, si portava dietro un termos di caffè caldo per sè ed un fiasco di varechina per l'albero. Dopo un paio di settimane l'albero cominciò ad ingiallire, tra la disperazione del contadino e dei familiari. La terza settimana era morto stecchito. Non sopportandone la vista, e raccomandandosi al cielo, il contadino preferì abbatterlo. Formigoni con grande cortesia e signorilità espresse tutto il suo rincrescimento per la perdita di un così bell'albero, e tornò al lavoro. Il cielo era sgombro. Il raggiungimento del traguardo era ormai sicuro. Se non si fosse verificato l'incidente. Una notte, mentre stava contando le stelle con la cornice proprio sulla verticale, la poltrona siderale si rovesciò all'indietro portando con sè il ragioniere in uno svolazzio di fogli di appunti. Forse un errore di progetto, forse una manovra errata, forse il destino. La poltrona si fermò quasi subito, ma Formigonì proseguì ruzzolando giù per la montagna fin quasi alla porta di casa. Fu necessario qualche giorno di ospedale. Là lo raggiunse la notizia che il contadino, suo confinante, inspiegabilmente era morto. Quando ritornò a casa il ragionier Formigoni era molto abbattuto. Per la prima volta aveva commesso un errore. La moglie al contrario era inspiegabilmente euforica. Il giorno dopo, nel pomeriggio, Formigoni risalì la montagna per verificare che l'attrezzatura fosse ancora al suo posto e pronta per continuare la conta. L'attrezzatura, la poltrona siderale e il tavolo c'erano, ma ammucchiati al centro della radura in forma di tizzoni carbonizzati. C'erano evidenti segni di accanimento. Formigoni capì. La sua missione non sarebbe stata portata a termine. Per la prima volta il ragionier Gilberto Formigoni aveva fallito. Discese lentamente dalla montagna. Era primavera. Un garrire stridulo gli fece sollevare mestamente il capo. Innumerevoli rondini volteggiavano tutte intorno. Quante rondini! Le rondini, perbacco! Si ricordò di quando, da ragazzo...
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