Carlo

Una galera. Quell'istituto in cui l'avevano confinato quei signori del Servizio Sociale in combutta con i suoi amati parenti era a tutti gli effetti una galera. Anzi ancora di più. Era per lui una camera a gas. Gli toglieva il respiro, lo soffocava.

"Carlino, le hai prese le pasticche?"

"Carlino ti sei cambiato la biancheria?"

"Carlino, dove vai oggi?"

Carlino, Carlino, Carlino! Quelle secondine nevrotiche in camice bianco non le sopportava più. Tanto per cominciare il suo nome era Carlo, e poi che s'impicciassero un po' degli affari loro. L'età del giudizio lui l'aveva superata da un pezzo. Sapeva badare a se stesso.

Molto meglio il parco, all'aria aperta, tra i bimbetti che giocavano sui prati, i ragazzi che avevano fatto buca a scuola e sflanellavano sulle panchine e le mamme e le governanti a spasso con le carrozzine.

E poi lui aveva bisogno di concentrazione. Aveva un mare di ricordi da navigare. Come avrebbe potuto farlo tra le lamentazioni continue di quei vecchi decrepiti in attesa del Giudizio? Dove avrebbe trovato l'ispirazione? Il suo mare era grande e con qualche insidia, e di tempo, purtroppo, gliene era rimasto un po' poco.

Una panchina all'ombra dei tigli era l'ideale per cogliere il vento e veleggiare alla ricerca dei ricordi più belli.

Lei era assorta nella lettura di un libro. Lunghi capelli neri le scendevano fin sulle spalle. Poco più di una ragazza, difficilmente immaginabile come mamma dell'inquilino della carrozzina davanti a lei. Una babysitter probabilmente, come altre nei paraggi.

Il libro l'assorbiva parecchio. Se in quel momento avessero rubato la carrozzina con tutto il contenuto, probabilmente non se ne sarebbe nemmeno accorta.

Poco distante davanti a lei, un paio di tigli più in là Carlo la stava osservando da un pezzo.

Quella ragazza suscitava in lui una vaga emozione che non riusciva a decifrare. E questo lo rendeva inquieto e lo irritava. Colpa forse dei rimbrotti della secondina di turno che l'avevano messo di cattivo umore, o di un crolletto momentaneo della sua lucidità mentale. Fatto sta che si arrovellava sulla panchina senza riuscire a fare un po' di chiarezza nei suoi pensieri e nelle sue emozioni.

La sua navicella non riusciva a salpare..

La ragazza depose il libro sulle ginocchia. Inarcò pigramente la schiena, e, con gli occhi socchiusi, rovesciò il capo all'indietro piegandolo poi da una parte e dall'altra. I lunghi capelli le ondeggiarono sulle spalle. Dopo qualche attimo ricominciò a leggere..

Per Carlo fu come una rivelazione. Tutto gli tornò alla mente.

Lei era assorta nella lettura di un libro. Lunghi capelli neri le scendevano fin sulle spalle. Poco più di una ragazza. Uno zainetto appoggiato sul sedile rivelava che per lei il tempo della scuola non era ancora finito.

Il libro l'assorbiva parecchio. Sembrava non accorgersi neppure dei viaggiatori che entravano ed uscivano dallo scompartimento, nè  delle fermate che il treno effettuava ad ogni stazione.

Nè sembrava accorgersi di lui, seduto di fronte a lei, che sprofondato nel sedile e cercando di non farsi notare, non le toglieva gli occhi di dosso. Mentre lei sfogliava una pagina del libro, lui riuscì a leggerne il titolo "Cent'anni di solitudine".

L'aveva letto e gli era piaciuto.

Erano i tempi beati dell'Università. Quando non più ragazzi e non ancora uomini si vive in un limbo tutto speciale con il mondo lì a due passi, pronto ad essere conquistato. Tutto è facile a quell'età. Per gli altri. Non certo per lui condannato alla solitudine da una insuperabile timidezza.

Quella ragazza così misteriosa dai lunghi capelli l'affascinava. Non certo bella nè provocante, pur tuttavia l'affascinava. Lui la coccolava con gli occhi, la scrutava nei più piccoli particolari, costruiva intorno a lei una cattedrale di congetture e fantasticherie.

Alla fine concluse che quella era la donna della sua vita.

Si sarebbe buttato. Avrebbe fatto violenza a se stesso, avrebbe superato cent'anni di timidezza e si sarebbe buttato. Non poteva perderla.

Il treno correva. Lui si mise in trepida attesa, sprofondato ancora di più nel suo sedile, con il cuore che batteva a mille, aspettando l'occasione propizia.

Ad un certo istante la ragazza depose il libro sulle ginocchia. Inarcò pigramente la schiena, e, con gli occhi socchiusi, rovesciò il capo all'indietro piegandolo poi da una parte e dall'altra. I lunghi capelli le ondeggiarono sulle spalle.

Dopo qualche attimo posò gli occhi su di lui.

Quasi un infarto.

"Ti piace quel libro?"

"Molto, lo conosci?"

"L'ho letto proprio qualche giorno fa . E mi è molto piaciuto. Non ti ho mai visto su questo treno. Io lo prendo spesso per andare in Facoltà"

"Io di rado, per andare a far visita a dei parenti."

"Senti, siccome andiamo tutti e due nella stessa città che ne dici se oggi ci vediamo e mangiamo un panino insieme??

"Se vuoi"

I grandi amori, quelli che durano tutta la vita, e qualcuno dice anche oltre, cominciano sempre così, con semplicità, dalle vicende banali di tutti i giorni, spesso da un panino mangiato insieme. Così aveva sempre pensato Carlo. Niente paroloni, colpi di fulmine o scene da melodramma. Con semplicità. Mille volte si era preparato all'evento, mille volte aveva fantasticato. Ora era successo.

Poi le passeggiate sottobraccio nel parco, le pedalate notturne nella città addormentata, le tenerezze la sera nei prati.

Insieme, lui e lei. Un grande amore.

Sulla sua panchina sotto il tiglio Carlo era sprofondato nei suoi ricordi. Così sarebbe dovuta andare.

Lei era tutta assorta nella lettura di un libro. "Cent'anni di solitudine" era scritto a lettere dorate sulla copertina. Il treno correva. Lui era in trepida attesa, con il cuore che batteva a mille, aspettando l'occasione propizia per porre la sua domanda galeotta.

Ad un certo istante la ragazza depose il libro sulle ginocchia. Inarcò pigramente la schiena, e, con gli occhi socchiusi, rovesciò il capo all'indietro piegandolo poi da una parte e dall'altra. I lunghi capelli le ondeggiarono sulle spalle. Poi reclinò il capo sul petto.

Con uno stridio di freni il treno si fermò alla stazione.

La ragazza, quasi di scatto, si alzò mise il libro nello zainetto e senza accorgersi della disperazione di lui si avviò nel corridoio, verso l'uscita.

Alcuni passeggeri irruppero chiassosamente nello scompartimento. Si sedettero davanti a lui.

Carlo la vide passare sotto il finestrino con lo zainetto in spalla e scomparire nel sottopassaggio.

Non si muore di dolore. E' sicuro. Carlo sopravvisse.

Si era ormai fatta sera. La ragazza con la carrozzina se n'era già andata da un pezzo. Nel parco erano rimaste solo un paio di coppiette molto impegnate all'ombra dei tigli.

"Peccato, però- rimuginava Carlo sulla panchina. -Se solo avesse trovato il coraggio di dirla quella frase "Ti piace quel libro?" Tutta la sua vita sarebbe stata diversa"

Lei quel giorno se n'era andata col suo libro, ma i cent'anni di solitudine li aveva lasciati a lui.

"Ti piace quel libro?" Che gli costava dirlo? Cosa mai gli sarebbe potuto accadere? Lui ora non sarebbe in quella galera tra quel vecchiume ammuffito e alle prese con quelle secondine assatanate.

Bastava un pochino di coraggio in più. Un pochino.

Stupido, stupido, stupido, che non l'aveva trovato.

L'aveva perduta per sempre.

Carlo si alzò stancamente dalla panchina. La sua navicella era naufragata sull'insidia peggiore.

Si avviò verso l'istituto. Da qualche parte, tra le sue scartoffie, doveva avercelo ancora quel libro. L'avrebbe riletto."Cent?anni di solitudine".

Che la secondina di turno non le dicesse niente del ritardo perchè ,se no, le sarebbe saltato addosso e l'avrebbe fatta a pezzi.

 

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