La macchina del gelato Non era facile per la famiglia tirare avanti con il sussidio statale di 20 Euro al mese nell'attesa della pensione del padre. Da quando, parecchi anni prima, gli impianti siderurgici in cui lavoravano entrambi i genitori, erano stati chiusi perchè fatiscenti ed antieconomici, quella era l'unica fonte di sostentamento, più i proventi di qualche lavoretto ogni tanto. E come loro ce n'erano tanti in Albania, tutti rimasti senza lavoro. Brutto momento, quello della chiusura degli impianti. Almeno prima lavoravano quasi tutti, solo per mangiare s'intende, perchè di soldi per altre spese ne avanzavano ben pochi. "Prima di andare a letto la sera, si lavava il vestito da indossare il giorno dopo. E guai a lamentarsi, ne avrebbe pagato tutta la famiglia." Poi quella dittatura disumana era finita, ma aveva lasciato in eredità una situazione disastrosa, con uno strascico di problemi che non finiva più. Il più immediato per la povera gente era quello di trovare i soldi per campare. E così nella famiglia Bacelliu nacque l'idea del gelato: acquistare una macchina per fare il gelato, e con quella, lavorando a casa e coinvolgendo tutti i familiari, rifornire qualche gelateria della città. L'assegnazione dei compiti era precisa: il padre avrebbe comprato la frutta fresca al mercato, madre e figlia avrebbero preparato il latte e fatto girare la macchina e l'altro figlio, anche se un po' più grande, avrebbe assaggiato il prodotto finito. Compito questo, per la verità non assegnato ma auto-attribuito, e svolto, bisogna dire, con molto impegno. E il gelato alla frutta prodotto dalla famiglia Bacelliu era allora il più buono che si mangiasse ad Elbasan. "Perchè noi non prendevamo i preparati già confezionati, come fanno qui da voi, ma usavamo latte e frutta fresca, tagliata a pezzettini." Parlava sommessa la mamma di Anisa, sforzandosi di trovare le parole di una lingua che non era la sua. Anisa , accanto a lei annuiva e spesso interveniva a spiegare meglio e a completare quello che la mamma diceva. Il suo italiano era perfetto, da non credere. "In Albania guardavo spesso i programmi della televisione italiana, e così ascoltando e leggendo i sottotitoli, ho imparato." "Anisa è molto intelligente - diceva la mamma - Al liceo era tra le migliori. L'insegnante di inglese diceva che lei era diversa dalle altre, perchè non si limitava a tradurre e basta, ma ci metteva del suo, ci metteva la fantasia." Era bella Anisa, 19 anni in arrivo ad aprile, con i capelli cortissimi e ricci, eredità obbligata di lunghi e dolorosi trattamenti di chemioterapia. "Dopo rinascono come quelli dei bambini." spiegava. Non erano così quando era venuta in Italia, verso la fine dell'estate scorsa. Erano lunghi e lisci, allora. Erano il suo orgoglio. Era arrivata con la consapevolezza di un male grave, ma non ancora definito, e con la speranza, la ferma determinazione di guarirne comunque. La Regione Toscana, con lodevole iniziativa, aveva da poco concordato con le autorità albanesi che un limitato numero di cittadini di quel Paese, affetti da malattie molto gravi, potesse essere curato, a sue spese, nelle strutture ospedaliere della Regione. Così Anisa era giunta a Pisa, insieme alla madre, e ricoverata nella clinica pediatrica dell'Ospedale di S.Chiara. Il padre era rimasto a casa. Non si poteva rinunciare ai proventi di qualche lavoretto per mandare avanti la famiglia. Tanto poi il visto per l'ingresso in Italia non l'avrebbe avuto mai. Il fratello Sokol, affettuosamente Koli per familiari ed amici, sarebbe venuto di li a poco. Era giovane lui e una bella traversata in gommone non lo spaventava davvero. Meglio clandestino e fuorilegge che lontano da Anisa. "Se mia madre avesse saputo le mie intenzioni, non me l'avrebbe permesso mai ! " Aveva le lacrime agli occhi Anisa, parlando del fratello. "E pensare che da piccoli litigavamo e ci facevamo dispetti in continuazione. Ora siamo molto legati. " Nella casa della famiglia Bacelliu ad Elbasan la macchina del gelato si era fermata. Poi l'autunno. Lunghe e dettagliate analisi, una diagnosi terribile, comunicata come si può ad una ragazza di 19 anni e ad una madre, due interventi chirurgici, la chemioterapia e la radioterapia. Appena intravisto dalla finestra della clinica, era nel frattempo arrivato l'inverno. "D'inverno in Albania è un disastro. L'acqua e la corrente elettrica arrivano, si e no, tre ore al giorno, una al mattino, una all'inizio del pomeriggio ed una la sera. Non che l'acqua manchi, perchè in Albania piove molto, ma le centrali e i bacini sono così mal ridotti che quello è il massimo che riescono a dare. Con tutti i problemi che ne derivano per la povera gente." "In inverno si muore di freddo e d'estate tutto va a male perchè i frigoriferi non funzionano." Anche per gli artigiani i problemi sono grossi . "Io ho uno zio che fa il falegname. E' bravo e avrebbe tanto lavoro, ma può lavorare solo poche ore al giorno perchè manca la corrente elettrica per far funzionare le macchine. La gente si arrangia come può alcuni sfruttano la situazione per ricavarne proventi per campare, altri ancora ne approfittano per arricchirsi. Per tutto è così. Per avere un po' più d'attenzione in ospedale, per non dover aspettare una cura fino a quando ormai non serve più, per avere un documento negli uffici pubblici, per godere di un beneficio, spettante, ma che altrimenti sarebbe arrivato chissà quando. E cosìvia." Anisa aveva paura di tornare in Albania, non voleva. Ora era guarita, ma doveva continuare a curarsi. "Al mio Paese non possono curarmi, non hanno le attrezzature. Quando si va in ospedale bisogna comprarsi anche le siringhe per le iniezioni. Io dovrò controllarmi spesso, perchè il mio male può tornare." Aveva fiducia Anisa. Aveva conosciuto bravi medici a Pediatria, bravi professionalmente e bravi sul piano umano. Brave anche le infermiere che l'assistevano, bravi gli albanesi e i kosovari ricoverati, come lei, nella clinica con il loro fardello di dolore e di speranza. Lontani dalle proprie famiglie e dalla propria gente, l'avevano colmata di premure e di tenerezza. Aveva conosciuto persone che le volevano bene. Aveva fiducia Anisa, e non voleva tornare in Albania. Ma il permesso di soggiorno per motivi di salute, rilasciato dalla Questura a lei e a sua madre, e rinnovato ogni tre mesi, sarebbe scaduto tra poco. Qualcuno diceva che ora sarebbero state rimandate a casa. "Non possono fare questo." E cercava di scongiurare tale eventualità informandosi sui suoi diritti , esponendo a destra e a manca le sue ragioni, raccomandandosi. Anisa stava ritrovando la gioia di vivere dei suoi 19 anni. Faceva progetti per il futuro, voleva studiare, laurearsi e, soprattutto, voleva vivere. "Quand'ero in Albania non ero magra come adesso e con i capelli così corti. Ero formosetta e con i capelli lunghi. Quando mi mettevo i vestiti un po' attillati, i ragazzi si voltavano per la strada." Ben lo sapeva mamma Myrvete, che vigilava. "Da noi i ragazzi non hanno tutta la libertà che hanno i vostri. Certe cose non si devono fare. I genitori sono molto severi con i figli." Mamma Myrvete, sei mesi trascorsi accanto alla figlia in una cameretta all'ultimo piano della clinica di Pediatria. Rare le uscite, solamente per comprare ogni tanto una pizza o a cuocere due peperoni in padella per la figlia, a casa di connazionali lì vicino. Ne era ghiotta, e d'altra parte il cibo dell'ospedale era francamente un po' monotono. Qualche volta faceva un salto al mercato a comprare qualcosina per Anisa. "Prima di tutto Anisa, poi tutto il resto." E tutto il resto era la sua casa ad Elbasan non grande, ma carina e in un posto tranquillo, il giardino pieno di fiori , che le piacevano tanto, la sua città sul Shkumbin, i parenti e gli amici. Tutto il resto erano adesso anche Koli e il marito, non certamente per una questione di priorità negli affetti, ma perchè loro potevano aspettare. Koli aveva trovato un lavoro, in nero s'intende, a Prato e un alloggio a casa di parenti. Il lavoro era duro, ma guadagnava abbastanza per far fronte alle spese, mettere qualcosa da parte per dopo, dare qualcosa alla mamma ed alla sorella. La domenica la dedicava ad Anisa. Per il viaggio in treno, rischioso di questi tempi per un clandestino, portava uno zainetto da studente con dentro un paio di libri di scuola per non destare sospetti. Koli, tutto fuorchè un 'clandestino'e un 'fuorilegge' nel senso più comune della parola. Parlava così sottovoce e timidamente che bisognava fare sforzi di concentrazione inauditi per cogliere il senso dei suoi discorsi. Il padre, lontano, non aveva che il telefono per sentirsi vicino. "Se non si controlla un po', ci porterà alla rovina.? Si avvicinava la primavera, attesa, desiderata. Anisa non si lamentava mai. Il dolore, le angosce, la paura se le teneva dentro. Ma si capiva che quella TAC che l'attendeva la preoccupava, la metteva in ansia. Quelle poche volte che ne parlava, alzava gli occhi al cielo a voler dire: speriamo, non dipende da me. Quel controllo avrebbe detto una parola definitiva sulla sua storia. Venne quel giorno e troppi altri ancora ne passarono senza una risposta. I medici curanti erano evasivi; come si fa a dire ad una ragazza che il suo male non era vinto, che non era guarita, che non sarebbe guarita mai più. Ma qualcosa le si dovette pur dire, alleviato con opportune omissioni, addolcito con pietose bugie. Anisa non parlò più dei suoi progetti, non parlò più nemmeno di se stessa. "E bella l'Albania, ci sono i monti e c'è il mare. La costa, verso Valona, è tutta scogli e insenature, come quella della Grecia. D'estate, ad Elbasan, si prendeva l'autobus e si andava tutti al mare. Poi la sera tornavamo a casa. Affittare un appartamento era troppo costoso, e poi di appartamenti da affittare al mare non ce n'erano mica tanti. La casa serve alla sua gente per viverci. Affittarla presuppone di averne un'altra in cui abitare. Era un lusso di pochi. La sua gente, disgraziata prima, al tempo della dittatura, ma disgraziata anche adesso. Alle prese con una vita dura, con le istituzioni che funzionano male o non funzionano affatto, governata da politici che poi, tutto sommato, si somigliano tutti. Troppo spesso corrotti e sensibili soprattutto all' interesse personale o di parte. "La gente non ha nessuna fiducia in loro. Ci sono tanti zingari tra gli albanesi. Ma per loro è diverso che da voi. Molti di loro sono commercianti: vanno in Grecia o in Turchia a comprare grandi quantità di merce, specialmente vestiti, e poi li rivendono in Albania nei loro negozi con buoni guadagni, tanto che alcuni di loro sono ricchi . Ad Elbasan c'è un grande magazzino a due piani, che è proprietà di zingari, dove si possono comprare stoffe e vestiti a buon prezzo." Mamma Myrvete era brava a far quadrare i conti della famiglia. E bisognava, con una figlia che frequentava il liceo, e tra poco sarebbe stata in et?da marito, ed un figlio, al contrario, allergico ai libri ma con tanta voglia di lavorare. Ma di lavoro in Albania se ne trovava proprio poco, incerto, mal retribuito, senza prospettive accettabili e credibili. La maggior parte dei giovani, come Koli, lo cercava in Grecia, in Turchia, in Italia e altrove. "In Grecia e in Turchia sono più accoglienti che in Italia, è più facile entrarvi, ma si guadagna poco. Per l'Italia invece le porte sono proprio chiuse. Si può entrarvi solo da clandestini , mettendosi nelle mani di gente senza scrupoli. E sono allora storie di umiliazioni e sacrifici a non finire, di disperazione talvolta.. Ma con un po' di fortuna si può guadagnare qualcosa: un po' da mandare alla famiglia e un po' per aprire, un domani, una piccola attività in patria. "D'agosto, quando nelle città italiane non c'è una macchina sulle strade, perchè tutti sono al mare o in montagna, nelle città dell'Albania non si circola dal gran traffico perchè tutti gli albanesi hanno approfittato delle ferie nei Paesi dove lavorano per tornare in patria e ritrovare amici e familiari. E allora, quando si incontrano per le strade, grandi saluti e abbracci tra chi è tornato dall'Italia, dalla Grecia, dalla Germania, dalla Turchia, e da ogni parte del mondo. E tutti a raccontarsi le loro storie. Poi a settembre le strade ritornano normali e di gente se ne vede poca in giro, per lo più vecchi, donne e bambini." "Dalle mie parti tutti quelli che possono permettersi una macchina circolano con auto di lusso di grossa cilindrata. Sono auto usate, spesso rubate e con documenti falsi, che organizzazioni locali importano dall'estero e vendono a basso prezzo. Se uno andasse in giro con un'auto come le vostre, lo prenderebbero per un pezzente." Koli un lavoro lo aveva già cercato in Grecia e in Turchia . In Grecia presso un artigiano ad impagliare le sedie, in Turchia in una fabbrica di vasellame e ceramiche. "Quando uno entrava a lavorare lì dopo un po' aveva le braccia a righe per le bruciature che si procurava mettendo il vasellame nei forni." Ora lavorava in Italia. "Il proprietario è onesto. Mi paga regolarmente e con puntualità. Ma non per tutti è così" "Mio fratello è fortunato, molti lavoratori clandestini sono sfruttati dai proprietari. Li pagano meno degli altri. Qualcuno, al momento della riscossione si sente dire:"Ti pagherò il prossimo mese." oppure: "Intanto prendi questi, il resto dopo."" Quando, non si sa, spesso mai. "Quando non trovi un lavoro, quando tutti ti chiudono la porta in faccia e non trovi una stanza per dormire, rimanere onesti diventa davvero una fatica." Qualcuno infatti non ci riusciva. Un giorno una telefonata ad Anisa da parte di Koli per dirle che lo avevano licenziato. Non serviva più un operaio per piastrellare piazzali e marciapiedi. Da allora Anisa ebbe più compagnia: la madre, sempre più dappresso al lettino, e il fratello, nei ritagli di tempo che la ricerca di un lavoro sostitutivo gli consentiva. Di là dal mare, in Albania, il padre cercava invece, disperatamente ma senza risultato, di ottenere un visto d'ingresso in Italia per far visita alla figlia. E la primavera trascorreva, fuori da quella stanza all'ultimo piano della clinica di Pediatria. Altri albanesi o kosovari arrivavano o partivano guariti. "Tutti guariscono. Solo Anisa non guarisce." Un giorno arrivò alla clinica un'albanese con un fiore per Anisa. "E' un fiore molto raro - spiegò Koli - che cresce dalle mie parti in montagna. I vecchi dicono che sia una medicina molto potente per il male di mia sorella. Mio padre, quando ha saputo che una connazionale sarebbe venuta a Pisa, è andato a cercarlo in montagna, con un amico, per farglielo avere. Sei ore di viaggio, tre in macchina e tre a piedi." Ma Anisa non guarì. Di lì a poco cominciò a peggiorare rapidamente. Parlava con sempre maggiore difficoltà. Una notte una telefonata da Koli "Anisa non ce l'ha fatta..." "Quella notte, prima che succedesse, ho fatto un sogno . Un grande angelo era entrato dalla finestra, si era accostato al letto di mia sorella, l'aveva svegliata e presa per mano. Poi, insieme, erano volati via."
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