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Volare da quelle parti era perfettamente normale. Tutti volavano. Ciascuno con il suo stile e secondo le sue necessità, solo o in compagnia, per diletto o “per servizio”, ma tutti comunque con la massima disinvoltura e senza problemi. Aldo ovviamente non faceva eccezione. Con una differenza, però. Lui non si contentava di volare come gli altri soltanto per spostarsi da un posto all’altro o per librarsi a mezz’aria come le libellule. Per lui il volo era qualcosa di più. Era anche una fonte inesauribile di divertimento e di soddisfazioni, un modo per esprimersi, per realizzarsi. Era un’arte, insomma, in cui non si finisce mai d’imparare. E siccome “nessuno nasce imparato”, come diceva suo nonno con la saggezza e l’ignoranza grammaticale degli antichi, lui vi si era dedicato, con umiltà e tanta pazienza, fino a diventare un perfetto “aviatore”, come tutti lo chiamavano da quelle parti. volare per spostarsi e basta era veramente da poveri di spirito senza immaginazione. Non era per quello che il buon Icaro aveva confezionato le sue ali con cera d’api e penne d’uccello. Una volta accertatosi che le sue ali funzionassero, Icaro, senza curarsi dei saggi consigli dei benpensanti, che Dio ce ne scampi e liberi, non si accontentò di volare rasoterra come i fringuelli, ma volle volare più in alto delle aquile, e ancora più su, fino a raggiungere il sole. La qual cosa, come noto, non gli riuscì. La Fortuna, che audaces iuvat, in quell’occasione non lo iuvò, e il primo aeronauta della storia degli uomini fu precipitato a mare. A dimostrazione che la Fortuna iuvat chi le pare. Volava con stile, Aldo, e ne andava orgoglioso. Volava come un dio, con rispetto parlando…I suoi looping, i tonneau, le picchiate vertiginose e le richiamate erano famosi in tutto il circondario. “Meglio del Barone Rosso” commentavano, non senza un po’ d’invidia, i suoi compagni, guardandolo affascinati col naso all’insù mentre disegnava con perfetto stile le sue figure acrobatiche fra le nuvole. In verità Aldo la passione per il volo ce l’aveva nel sangue. Ce l’aveva “prima”, e ce l’aveva anche adesso che il sangue non sapeva nemmeno cosa fosse. Come per tutti gli angeli, d’altronde, incorporei, evanescenti. Perché Aldo nonostante le sue stranezze molto “terrene” era pur sempre un angelo, con tanto di sottanone bianco, che per la verità detestava, e due ali piumate che gli arrivavano fino alle caviglie. Un angelo in piena regola, insomma, come tutti da quelle parti. Un angelo però con la mania del volo acrobatico. Svolacchiare di qua e di là sulle nubi o negli eterei spazi come i suoi simili pennuti, magari ascoltando celesti melodie, non faceva per lui. Lo annoiava a morte. Lo intristiva. Molto meglio sfruttarle appieno quelle belle ali che il Padreterno gli aveva messo dietro la schiena. Con quelle ali si potevano fare miracoli. E così, dopo un giorno di normale volo “di servizio”, Aldo si prendeva un po’ di libertà per sfogarsi e ricrearsi lo spirito. Si fa per dire. La fantasia non gli mancava di certo. Il suo repertorio acrobatico era vastissimo, con infinite variazioni e personalizzazioni accuratamente studiate a tavolino. Ma ciò che più lo divertiva, forse memore dei suoi trascorsi terreni, era però giocare con gli uomini, là sotto, cimentarsi con loro, sfidarli. E cosa c’era di più divertente che sfrecciare accanto agli aeroplani durante le tempeste e scrutare dai finestrini le facce atterrite dei passeggeri? O guizzare come una saetta tra le auto del traffico cittadino? O precipitarsi come un bombardiere d’assalto contro torri e grattacieli? Tanto, incorporeo e invisibile com’era, non costituiva certo un pericolo per nessuno. Era stato un giorno di una noia infinita. Il giorno dedicato ai cori celesti. Aldo lo aveva passato svolacchiando con un gruppo di coristi e musicanti, “giovani” come lui, provando e riprovando dei nuovi canti portati lassù da chissà chi. Le prove erano andate in maniera disastrosa, tanto che il direttore, un “vecchio” dei tempi di Noè, aveva alla fine deciso, sconsolato, ed anche perché si era fatto molto tardi, di sospenderle in attesa di tempi migliori. Era notte fonda ormai là sulla Terra, e Aldo, finalmente in libera uscita e per niente avvilito per gli insuccessi canori, si concesse, come spesso faceva, un sorvolo a bassa quota della città degli uomini, a quell’ora addormentata. Le case buie con rare finestre illuminate, i viali semideserti, le fontane scintillanti, le chiese, il parco silenzioso, tutto suscitava una sensazione di serenità, di pace. Gli venne in mente il presepe che “prima”, immancabilmente, preparava insieme a suo padre per Natale. Quanto tempo fa? Non erano poi male quei tempi, pensò Aldo. Se li ricordava bene. Suo padre portava su dal garage un vecchio tavolo e, dopo aver spostato qualche mobile, tra la disperazione di sua madre che si affannava a salvaguardia di vasi e soprammobili, lo disponeva in un angolo della sala. Poi, insieme, preparavano il paesaggio, con le montagne di cartone, le casine di sughero verniciate, l’immancabile laghetto con il mulino, e tutto il resto. La disposizione dei personaggi veniva per ultima. Quella era compito soltanto suo. Il Bambino con la Madonna e San Giuseppe, la mucca e l’asinello, i pastori con le pecorelle, il fabbro, il pescatore, le lavandaie… ce n’erano di personaggi! Lui li tirava fuori dallo scatolone ad uno ad uno, li scartava con cura e poi con il braccio sospeso cercava il posto più adatto dove collocarli. Per l’angelo non c’era problema. Quello andava sulla capanna, come sempre. Gli angeli del presepe, chissà perché erano tutti bambini, pensò Aldo… e con due alucce ridicole …Quando poi tutto era a posto e suo padre e sua madre, ancora con la scopa in mano, erano pronti all’inaugurazione, lui spengeva la luce di sala e il presepe acquistava vita, con le casine illuminate e tutti i personaggi indaffarati sotto le stelle. E la cometa, sul tetto della capanna, indicava agli ignari dov’è che dovessero andare, che non si sbagliassero, perché era lì che era nato il Bambino, il Salvatore. Non erano male quei tempi, pensò ancora Aldo mentre sorvolava la città che dormiva. Forse gli uomini, pensò, bisogna giudicarli così. Come i bambini, affacciati al presepe pieni di stupore e con un cuore grande grande, guardano i personaggi sotto le stelle nella notte santa. Era così immerso nei suoi pensieri, quando una torre aguzza vivamente illuminata sbucò all’improvviso dalle chiome scure degli alberi, in mezzo al parco. Bellissima, irta di antenne come un’astronave, provocante. Aldo si arrestò a mezz’aria estasiato, scordandosi subito del presepe e di tutti i suoi personaggi. Esitò per qualche attimo. Poi l’aviatore che era in lui si destò imperioso. Quella torre meritava la sua considerazione prioritaria, non poteva essere ignorata. Riprese un po’ di quota e, raccolte con perfetto stile le ali dietro la schiena, si lanciò in una picchiata vertiginosa, diritto verso quella meraviglia... Una cosina da niente per lui. Una richiamata all’ultimo istante e via!, sarebbe passato come una scheggia ad un palmo di distanza sopra l’obbiettivo. Fatto e rifatto infinite volte alla perfezione. Una cosina da niente. Ma quella volta non gli riuscì. Forse un’errata valutazione della distanza per il buio o la deconcentrazione dovuta ai ricordi del presepe, fatto sta che il ritardo di un attimo nella richiamata provocò la collisione. Gli angeli, come noto, sono incorporei. L’urto non ebbe quindi alcun effetto né su di lui né sulla torre, salvo un leggero scintillio che per un attimo baluginò tra le antenne. Aldo però ci rimase molto male. Non riusciva a capacitarsi dell’errore madornale. Si guardò intorno per verificare che non ci fossero testimoni dell’accaduto, poi, visto che era già lì e non aveva niente da fare, decise di fare un giretto per il parco, silenzioso e deserto. A piedi.
“Ti ho visto, sai, angelo pazzo. Bella prodezza. Congratulazioni!” La voce proveniva dall’oscurità dietro di lui. Aldo si fermò, interdetto. “Ma… com’è possibile…?” pensò. Si voltò e si mise a scrutare intorno, tra le siepi e gli alberi appena rischiarati dalla luce dei lampioni. Lo vide. Comodamente seduto su una panchina, con le braccia spalancate appoggiate sullo schienale, le gambe distese e incrociate e una bottiglia che penzolava dalla mano destra. “Ti ho visto, e debbo dire che non mi sei piaciuto. Ho visto di meglio.” “Ma… sei sicuro di vedermi o tiri a indovinare? – chiese Aldo - Quelli come me, gli angeli insomma, sono invisibili agli uomini… Perché tu sei un uomo, è vero?” “Certo che sono un uomo. Un uomo di nome Giovanni. Gli angeli sono invisibili agli altri, non a me. Un po’ sfocato, per la verità, ma ti vedo.” “E com’è possibile?” ribatté Aldo che stentava a capacitarsi. “Ho imparato – disse l’uomo senza scomporsi - Vedi, come disse Uno che dovresti conoscere bene, oggi gli uomini guardano ma non vedono, ascoltano ma non sentono. Non hanno tempo da perdere, loro. Hanno troppe cose da fare. E così pian piano sono diventati ciechi e sordi. Così si perdono il meglio della vita. Io, da quando ho acquistato la ragione, non molti anni fa, ho cercato di vederci e sentirci sempre meglio. E come vedi, qualche passo avanti l’ho fatto.” “E poi questo aiuta.” aggiunse scuotendo la bottiglia che teneva per il collo. Aldo, completamente sconcertato, rimase qualche attimo in silenzio. Poi, avvicinatosi di qualche passo allo sconosciuto si chinò un po’ in avanti per vederlo meglio.Era un uomo un po’ avanti negli anni. Indossava un completo gessato blu, logoro al punto da chiedersi come facesse a stare ancora insieme. T- shirt bianca con su scritto “Haway”, guanti di lana opportunamente scorciati sulle dita, scarpe da tennis bucate sull’alluce e un variopinto copricapo peruviano annodato sotto il mento, completavano l’abbigliamento. Nonostante i bizzarri accostamenti e la vetustà degli indumenti, l’aspetto dell’uomo rivelava però una certa cura della persona e le vestigia di una remota eleganza. “E cosa stai facendo nel parco a quest’ora nel buio e tutto solo?” “Aspetto che si faccia giorno.” “Ah! – fece Aldo che capiva sempre di meno – E, se non sono indiscreto, quando si sarà fatto giorno cosa dovrai fare di così importante da costringerti ad una levataccia come questa?” “Niente, assolutamente niente. Ma vedo che tu non hai capito. Siediti accanto a me e ti spiegherò.” L’uomo si spostò su un lato della panchina, sollevando con cura i pantaloni sulle ginocchia per non sciupare quella piega che ormai non esisteva più da vari anni, e dopo aver trasferito la bottiglia nell’altra mano, fece cenno al sottanone con le ali di accomodarsi. Aldo, ormai coinvolto in quella situazione assurda con quell’improbabile individuo, si sedette accanto a lui. Con molta difficoltà, invero, e scostando accuratamente le ali per non sedersici sopra. “Caro il mio angelo pazzo, – disse l’uomo con la pazienza del maestro che spiega ad un bimbo un po’ duro - io ora sono qui ad aspettare che giunga l’alba perché solo questa m’interessa. E ci sarò anche stasera per aspettare che si faccia notte. Poi durante il giorno e durante la notte non faccio assolutamente niente. Guardo e ascolto, ma per lo più dormo. Il giorno e la notte non sono molto interessanti, sono piatti e vuoti. Sono le pause che separano l’alba dal tramonto. Vedi, il nascere del giorno e il calar della notte sono eventi straordinari che noi uomini non sappiamo più apprezzare. Sono cose ormai scontate, banali. Abbiamo altro di ben più importante a cui pensare. E non ci rendiamo conto invece di quanto meravigliosa ci rendano la vita. Scandiscono il ritmo della nostra esistenza. Sono una musica divina che ci accompagna dal nascere al morire. Tutti gli esseri del creato lo sanno e ne gioiscono. Solo noi uomini ne siamo diventati indifferenti. Hai capito adesso?” “Si… - balbettò Aldo – ho capito. Ma fai così tutti i giorni?” “Tutti. La nascita di ogni giorno merita di essere vista e festeggiata. E poi ti sarai accorto certamente che ogni giorno è diverso dall’altro” “Certo, certo” fece Aldo nella confusione più completa. Che quell’uomo fosse pazzo? … Però poteva vedere gli angeli, questo era certo… E poi i suoi discorsi non erano completamente assurdi, avevano una certa logica…O forse era solo un’allucinazione provocata dall’incidente aereo? “Senti Giovanni, – decise di continuare Aldo - riconoscerai che i tipi come te non si incontrano tutti i giorni. O forse non s’incontrano mai. Perché non mi parli un po’ di te?” “La mia vita non è molto interessante. Fino a non molto tempo fa vivevo senza accorgermi di non vivere. Una bella famiglia, dicevano i colleghi, una casa in un quartiere elegante e un posto in banca che mi consentiva un buon tenore di vita. Poi, un giorno, tornando a casa dopo una litigiosa riunione di lavoro che era durata tutta la notte, mi sono seduto un attimo qui, su questa panchina, per schiarirmi le idee. Stava albeggiando. Per me è stata una rivelazione. Da quel giorno ho acquistato la ragione. Ho mandato al diavolo la casa, il lavoro e tutto il resto e mi sono dedicato, anima e corpo, all’unica cosa per cui valga la pena di vivere: essere partecipe e gioire dell’armonia del creato.” Tacque. Sugli alberi del parco, sulle case buie, sui viali semideserti, sulle fontane scintillanti, sulle chiese, su di loro, il cielo cominciava a schiarire. Continuò. “I miei familiari però non hanno gradito la metamorfosi. La mia gentile consorte, con molto tatto e signorilità, mi ha detto che in quella casa, che tra l’altro era mia, non c’era posto per quelli come me, parassiti e per di più socialmente pericolosi. Mi ha fatto notare che non lontano da lì c’era un parco verde e rigoglioso in cui avrei potuto trovare la mia vera dimensione e gioire di tutta l’armonia che volevo. E’ stato l’unico suggerimento buono che mi abbia mai dato da quando la conosco. Fine della storia.” “E’ una storia molto triste.” fece Aldo “Al contrario è una storia molto bella. E’ la storia di un uomo che ha trovato la libertà” Aldo capì che non era il caso di aggiungere altro. Era stata una giornata molto dura. Prima quei canti insopportabili tra le nuvole, poi l’incidente aereo, ed ora quel filosofo pazzo con le sue teorie strampalate. Era troppo anche per un angelo come lui. “Me ne torno lassù. – disse alzandosi e riassettandosi con cura le ali e il sottanone – Sono contento di averti incontrato. Mediterò su quello che mi hai detto.” “Bravo - fece Giovanni – E quando vuoi, vieni a trovarmi. Su questa panchina c’è posto anche per te.” Un attimo dopo Aldo già non si vedeva più. Sulla panchina era rimasto solo l’uomo col completo gessato blu. Si stava facendo giorno. Un’alba così non si era vista mai.
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