Porto Santo Stefano da ricordare |
Porto Ercole - 3 luglio 1646 |
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Lettera di Francesco Diaz Pimienta a Filippo IV di Spagna da Porto Ercole il 3 luglio 1646
"Signore, navigando questa Armata e le Galere di Spagna alla volta di Napoli per unirsi ai vascelli e galere che lì si trovavano, come scrissi a a Vostra Maestà da Mahon, incontrammo presso la costa della Sardegna le 18 galere d'Italia che per la fretta con cui il nemico si apprestava all'assedio di Orbetello, ci vennero incontro agli ordini del marchese del Viso. Da lui fui informato che gli otto vascelli con la capitana e ammiraglia di Napoli, e i sei della squadra del generale Mesebray, sarebbero giunti poco dopo le galere. E sempre in quel giorno, 7 di giugno, il conte di Linhares sulla sua capitana decise che saremmo andati direttamente incontro all'armata nemica, e poichè il vento era molto debole, che andassero avanti le galere per guadagnar tempo nel soccorso. Io giunsi con i 27 vascelli al mio comando a scorgere la flotta nemica tra Porto Santo Stefano e Talamone il 13 giugno. Essa era composta da 36 vascelli e 20 galere al seguito della capitana. Al tramontar del sole feci segnali con l'artiglieria e con fumogeni al governatore di Orbetello per informarlo che l'Armata di Sua Maestà era giunta in suo soccorso. In quella stessa notte ci unimmo ai vascelli e galere che non essendo potuti entrare in Porto Ercole, avevano aspettato l'Armata presso Montecristo e decidemmo di affrontare i nemici il giorno seguente. L'indomani all'alba, per l'assenza quasi totale di vento, manovrammo, nell'affrontare l'armata nemica, con questa capitana al rimorchio delle galere di Spagna, e similmente gli altri 26 vascelli . Anche la capitana e altri vascelli della flotta francese imitarono questo nostro comportamento. Alle 9 della mattina sembrò che quello dovesse essere il giorno più glorioso per la flotta di Sua Maestà, e così parve anche al duca di Brezè ed alla sua flotta che si ritirarono disordinatamente incalzati dalle nostre navi e battelli incendiari. Sembrava allora impossibile che qualcuna delle loro navi potesse sfuggire alla distruzione. I francesi però ebbero fortuna, recuperando una delle navi che già era stata abbandonata dall'equipaggio e proteggendo le altre con navi da guerra rimorchiate dalle loro galere. A questo punto cominciarono le scariche di artiglieria dall'una e dall'altra parte, continuando la nostra armata ad incalzare le navi nemiche con l'intento di abbordarle, come ben si capiva da come manovravano le vele e dall'attività dell'artiglieria. Però l'Armata del nemico fu così fortunata che una palla di cannone, contro tutte le aspettative per navi di questa mole e con alberi così massicci, abbattè l'albero maestro di questa capitana, con gran danno dell'apparecchiatura velica. E con tante navi nemiche intorno era impossibile per i marinai provvedere a riparare il danno e tanto evidente il rischio che le navi incendiarie francesi approfittassero di una occasione tanto favorevole. Avvisai allora il conte di Linhares, che aveva virato sopravento a questa capitana, di prendermi a rimorchio, come già aveva fatto durante la mattina, mentre rimettevo in efficienza la nave. E chiesi al generale Don Pablo Contreras (che ha funzioni di ammiraglio e in quel giorno si era comportato con tanto valore e accortezza da essere veramente degno che Vostra Maestà gli invii particolari ringraziamenti da parte mia e lo premi per tutti i buoni servigi che ha reso in questo incarico) di bordeggiare combattendo affinchè nessuna nave incendiaria nemica si avvicinasse a questo vascello. Cosa che effettivamente il generale fece. L'Armata nemica quel giorno, dopo che si levò un vento fresco, temendo l'abbordaggio da parte delle nostre navi, si ritirò e non subì altri danni, tranne la perdita di una nave incendiaria che si incendiò colpita da una nostra cannonata. Da parte nostra, il capitano della fregata Santa Catalina, colpita così gravemente da permettere alle galere di Francia di raggiungerla, fece trasbordare il suo equipaggio su un nostro vascello e la incendiò per evitare che fosse catturata dal nemico. L'alba del giorno seguente, 15 giugno, trovò questa capitana nuovamente pronta alla lotta e l'Armata di Francia in posizione di sopravento. Ma nonostante il vento favorevole quell'Armata si sottrasse alla battaglia. Lo stesso successe il giorno seguente, 16 giugno. Anche allora nè i francesi cercarono di raggiungere le nostre navi, nè noi avemmo la possibilità di raggiungere le loro. Quel giorno ho avuto la certezza che le navi francesi erano superiori a quelle di Sua Maestà in velocità, o perchè avevano una linea più filante, o perchè erano in navigazione da minor tempo o perchè erano più invelate. Così decidemmo, il conte di Linhares ed io, di partire all'alba del giorno dopo per Porto Longone, per concordare come portare soccorso ad Orbetello. Ma quella notte un forte vento di ponente ci obbligò a bordeggiare tra monte Argentario e il Giglio, contro le cui scogliere ando a naufragare la galera di Spagna Santa Barbara che non riuscì a scapolare l'isola. I naufraghi furono tratti in salvo. Quella stessa notte una galera di Francia naufragò sulla spiaggia vicino a Piombino. Di questa prendemmo prigioniero l'equipaggio e ci impadronimmo dell'artiglieria La burrasca continuò il giorno successivo, 17 giugno. All'alba le nostre galere riconobbero due galere francesi che avevano perso contatto con la loro squadra e si erano rifugiate nella baia di Porto Santo Stefano. Si misero al loro inseguimento e ne raggiunsero una con nome Santo Domingo. Era una buona galera, di recente costruzione, che il conte di Linhares inglobò nella sua squadra al posto di quella persa nel naufragio. Ma poichè le condizioni del tempo non ci permettevano di raggiungere Porto Ercole, fui costretto a far rotta fin quasi a Capo Corso, lasciando la maggior parte delle galere in una cala riparata del Giglio. Da qui, quando le condizioni del tempo migliorarono, il conte di Linhares raggiunse Porto Ercole dove sbarcò le truppe che aveva a bordo per il soccorso ad Orbetello. All'alba del giorno 19, trovandosi questa Armata in prossimità delle coste della Corsica, vidi due vascelli francesi che per la burrasca si erano separati dalla flotta. Ne catturai uno su cui poi feci trasbordare l'equipaggio della fregata Santa Catilina che si era autoaffondata durante gli scontri del 14. L'altro, che era una nave da guerra, riuscì a fuggire, favorito dal vento, quando già avevo cominciato a cannoneggiarlo. Entrammo quindi con le galere ed i vascelli in Porto Longone, per riparare i danni e a fare la scorta di acqua. Da quel porto uscimmo, con le galere il 23 giugno e con i vascelli il 24. Una volta in alto mare si aggregarono all'Armata i vascelli di Napoli, avendo appreso che l'Armata e le galere di Francia avevano fatto rotta verso San Remo, dove avevano seppellito i propri morti. Il Duca di Brezè, il cui corpo era stato imbalsamato, lo portarono invece a Tolone. Dicono che lì la loro Armata si stia rinforzando con altri dodici vascelli e molti marinai per tornare a cercarci. La nostra Armata l'aspetta con piacere. Essendoci riuniti in questo Porto Ercole il 25 ed essendo consapevoli che la piazza di Orbetello era sotto assedio e che il governatore chiedeva con insistenza che mentre aspettava la cavalleria e la fanteria da Napoli, che secondo la missiva del Duca di Arcos era in marcia sin dal giorno 15 per portare soccorso, si facesse un diversivo con la fanteria dell'Armata e delle galere e si colpissero i forti di Porto Santo Stefano e di Talamone, feci uscire i vascelli di Napoli ad attaccare il primo e quelli delle Fiandre il secondo. E i loro comandanti agirono così valorosamente che nei due porti suindicati incendiarono o catturarono una settantina tra tartane e polacche, molte delle quali cariche di viveri e munizioni. Questa operazione fu di gran danno per i francesi. Nella stessa data del 26 decisi di far sbarcare la fanteria dell'Armata e delle galere per attuare quel diversivo su citato. E avendo fatto ciò in data 28, concordai con i Maestri di Campo di questa Armata che Don Savio di San Felice, che tra essi aveva militato più a lungo in terra ed era per questo in grado di formulare la migliore strategia per occupare le due località indicate, si incaricasse, con l'accordo di tutti, di guidare le marce, occupare gli avanposti, inquadrare la fanteria e operare come convenisse. Io d'altra parte, non avendo esperienza di guerra in terra, come più volte confessato, mi assumevo la responsabilità del suo operato, chiedendo soltanto di essere informato su quello che fosse opportuno ordinare, e di rimanere estraneo alle dispute tra i Maestri di Campo. Di questa decisione informai il conte di Linhares. Con 3300 fanti dell'Armata e delle galere occupammo quindi due colline che sovrastano lo stagno di Orbetello. Il 29 mattina però ricevetti un dispaccio del conte che mi chiedeva con decisione che ritirassi sulla collina dove io mi trovavo, il reggimento del Maestro di Campo Don Luis de Sotomayor, che aveva marciato in avanguardia. Cosa che io feci immediatamente. Alle 8 della mattina, con lo stesso messaggero che mi aveva portato il dispaccio, lo rimandai a Don Luis de Sotomayor perchè lo eseguisse. A conferma gli inviai dal mio quartiere un altro mio messaggio con l'ordine di ritirarsi. Al che mi rispose che se lo ordinavo per risparmiare sacrifici al suo reggimento, tutti quelli che ne facevano parte erano ben disposti a sacrificare la loro vita per la gloria dell'esercito di Sua Maestà. Mentre c'era questo scambio di messaggi, apparve il principe Tommaso che avendo lasciato un minimo presidio nel suo quartiere, stava attaccando con tutto il grosso della sua fanteria e cavalleria ai piedi della collina. Ed essendo il reggimento suddetto, che si trovava all'avanguardia, sguarnito di moschettieri, nonostante avesse riunito tutti i soldati che fosse possibile reperire, non potè ovviare a questo inconveniente e la fanteria e la cavalleria nemica sfondarono le nostre lnee. In quel reggimento si trovavano, come soldati di prima linea, i due figli maggiori del conte di Linhares e altri cavalieri. E nonostante si siano comportati con incredibile valore, come altrettanto fecero il Maestro di Campo e il suo sergente maggiore e capitani, sebbene questi con minor lena, furono travolti dalla cavalleria, lasciando molti feriti gravemente, e prigionieri il sergente maggiore del reggimento Alonso de Lara, il capitano Juan Baptista Alexandre, il capitano Don Josè Centeno e Don Diego de Velasco. Per la loro liberazione abbiamo prigionieri da scambiare. Sono quindi uscito incontro a quelli dell' avanguardia che si ritiravano, e li ho indirizzati al mio quartier generale. E sebbene il nemico, reso audace e inorgoglito da questo primo successo, avesse provato tre volte a sfondare il perimetro del nostro quartier generale, si prese tante scariche, con tanto danno ad ufficiali e soldati, che si ritirarono sulle posizioni precedenti, dove combatterono per 7 ore consecutive. A questo punto, comportandosi i nostri soldati con grande valore, dovetti darmi molto da fare per trattenere l'avanguardia che non avanzasse di nuovo, perchè non conveniva continuare a combattere per riconquistare le postazioni conquistate dal nemico. Al calar del sole, poichè lo scontro era stato molto esteso e vi erano stati più di 400 feriti e non più di 40 morti da parte nostra, e più di 3 volte tanti quelli del nemico, molta gente, stanca per via della ritirata e della battaglia, era ormai esausta . Per cui, ed anche perchè consultandomi con gli ufficiali seppi che non avrebbero potuto sostenere una seconda battaglia contro un gran soldato come il principe Tommaso, grande non per il valore (che per questo lo hanno elogiato i suoi nemici ed anch'io lo debbo elogiare presso Vostra Maestà) quanto per la sua grande esperienza di guerra di terra, feci p;una riunione con i Maestri di Campo e con i capitani che in quel momento erano ancora sani, e a tutti parve opportuno, per le ragioni suindicate, di ritirarsi. E così facemmo. Alle 9 di notte, avendolo fatto i francesi, raccogliemmo i nostri feriti e le armi, lasciando una guarnigione in retroguardia, e ci ritirammo all'entrata di Monte Filippo. Quella notte, il conte di Linhares comandò che si imbarcasse la fanteria delle galere. La mattina seguente 30 giugno e il 1 luglio mi consultai con il conte di Linhares sul da farsi. Quello che io proposi è allegato a questa mia lettera. E dunque mi fu proposto, anche da parte di quelli che avevano proposto la manovra diversiva e non il soccorso, che si tentasse il soccorso agli assediati con i marinai dell'Armata e delle galere, non avendo forze sufficienti a far diversamente senza cavalleria.. Il conte, in considerazione di quanto riferito e dopo essere riuscito a far entrare in Orbetello 60 uomini dei 160 che si erano offerti, decise che si aspettasse la cavalleria e la fanteria da Napoli, che secondo i dispacci del duca di Arcos era attesa ad ore, per operare secondo le proprie possibilità come più conviene al servizio di Sua Maestà, al soccorso della piazza e alla sicurezza della gente dell'Armata. Questa ha desiderio infinito di tornare quanto prima per il resto dell'estate sulle coste della Catalogna, lasciandosi alle spalle questi potentati e repubbliche che senza dubbio han mutato aspetto con la sua presenza. Supplico Vostra Maestà di perdonarmi per una lettera così lunga,che dovendo riferire di tutto quello che è successo, come il conte di Linhares mi ha incaricato per una sua indisposizione, non ho potuto ridurre a minor volume
Protegga Dio la Cattolica Real Persona di Vostra Maestà
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