Virgilio

Lo chiameremo Virgilio. Perchè tutti devono avere un nome. Senza un nome non sei nessuno, non esisti proprio. E che lui avesse un nome non c'era uno straccio di certificato a testimoniarlo.

Chissà se sua madre ci aveva pensato, al momento della nascita. Chissà. Ma forse tra loro non usava, forse nemmeno lei ce l' aveva. Era un lusso che non poteva permettersi.

E non è mica giusto. Ti obbligano a nascere e a morire, senza nemmeno consultarti, e in mezzo a vivere. Almeno un nome te lo meriti.

Così noi lo chiameremo Virgilio. Per rispetto.

Virgilio era un maiale.

 

Non in senso metaforico, s'intende. Di quelli ce ne sono anche troppi. Tutti hanno nome e cognome e sono rispettatissimi.  Virgilio  era un maiale vero, in carne ed ossa.

A lui era toccato così. C'è chi nasce con le ali, chi con la coda e con le pinne, chi con la corona reale accanto alla culla. Lui era nato con la coda a cavatappi, simbolo inequivocabile della sua stirpe e del suo destino. Un maiale, a vita.

Si potrebbe tanto disquisire sul diritto di un maiale ad essere felice e se possa mai esserlo in questo mondo di uomini. Ma questo argomento non interessa a molti, anzi, forse a nessuno.

Nemmeno a Virgilio importava.

A lui importava soltanto la sostanza: che non era felice. Di più che era sommamente infelice.

Ma che vita era la sua? Rinchiuso da mane a sera nella porcilaia, immerso fino al ventre nel pantano e nello sterco, costretto a mangiare quella sbobba disgustosa che il fattore gli rovesciava addosso in continuazione. Poteva chiamarsi vita, quella?

Meglio sarebbe stato lasciarsi morire di fame, in silenzio, con dignità se non altro per far dispetto all'aguzzino...

Che se la mangiasse lui la sua sbobba. Un maiale, se vuole, sa voltarsi dall'altra parte.

......

Se vuole... e se può. Se madre natura gliene ha dato la forza.

Ma con quegli esaltati intorno che si ingozzavano dalla mattina alla sera...

 

Il recinto della porcilaia era fatto di tavolacce messe insieme alla meglio. Tra quelle si aprivano delle ampie fessure, una delle quali, solo una, dava sulla campagna sottostante.

Virgilio se ne stava per gran parte del giorno con il grugno infilato in essa a guardare quel mondo fantastico che a lui era negato: i campi erbosi, i boschi, le siepi, i sentieri che si arrampicavano su per le balze.. Guardava il cane del fattore che si rotolava sul fieno, i gatti che dormivano spaparanzati al sole, gli uccelli che si posavano sui rami dell'albero di fronte, sostavano un poco e poi volavano via.

E per quella fessura  il soffio del vento gli portava il profumo delle stagioni e della terra appena arata, dei fiori, del grano maturo, delle foglie cadute.

A lui di tutto quello niente era toccato, nemmeno le briciole.

A lui era toccata la porcilaia, immonda, fetida, insopportabile.

 

Con il grugno infilato nella sua fessura, Virgilio osservava la campagna che stava volgendo decisamente al giallo. Poche chiazze di verde resistevano imperterrite qua e là altre già mostravano cenni di cedimento, mentre tutt'intorno il giallo dell'estate dilagava nelle più svariate tonalità.

Il camioncino che sopraggiunse scoppiettando su per la salita non lo distrasse più di tanto.  Ci era abituato. E poi per principio, tutto quello che avesse a che fare con il fattore, e il camioncino era suo, non gli interessava.

Odiava quell'uomo. Di un odio sincero, appassionato. Un odio quasi umano. Se avesse potuto, se lo sarebbe mangiato vivo, lentamente, a piccoli morsi.

Dal camioncino, un po' con le buone e molto con le cattive, il fattore fece scendere un gruppetto di maiali, che poi, con fare molto persuasivo, avviò verso una porcilaia vuota dall'altra parte del piazzale.

 

Virgilio seguì con lo sguardo i nuovi arrivati per qualche istante, ma con distacco, senza un briciolo di interesse o di curiosità. Anche lui era arrivato così qualche tempo prima, anche a lui il fattore aveva riservato la stessa accoglienza prima di sprofondarlo in quella porcilaia maledetta. E certamente anche lui sarebbe partito un giorno o l'altro. Come gli altri.

Ma per andare dove? Per fare che cosa? ?Se l'era chiesto tante volte.

Se ne stava già per tornare alla sua campagna ingiallita scacciando dalla mente la solita domanda che puntualmente vi si era riaffacciata, quando all'improvviso accadde e l'effetto fu dirompente.

La vide.

Bella come una dea,  altera come una regina, indifferente allo schiamazzo scomposto dei compagni e alle urla belluine del fattore, procedeva impettita verso la porcilaia come Isabella di Castiglia verso il trono regale, come Maria Stuarda verso il patibolo.

Virgilio la vide, e da quel momento non ebbe occhi che per lei.

Al diavolo la campagna, il cane, i gatti e gli uccellini. Ora c'era lei. Soltanto lei. Nient'altro oltre lei.

Trovò una seconda fessura nel recinto che gli permettesse una migliore contemplazione dell'amata dall'altra parte del piazzale,  l'allargò con il grugno, con un bel po' di dolore e qualche escoriazione, e lì si trasferì.

 

La campagna ingiallì del tutto, poi tornò del colore della terra e ancora una volta cominciò a rinverdire.

Ma Virgilio quasi non se ne accorse. Aveva altro a cui pensare.

Di là del piazzale c'era lei.

Lui prendeva posto alla sua fessura al sorgere del sole e, tranne che per un paio di pause per i pasti, se di pasti si poteva parlare, rimaneva in contemplazione fino a sera. La cercava con lo sguardo oltre la staccionata sconnessa, la studiava nei più piccoli particolari, costruiva intorno a lei cattedrali di sogni e fantasticherie.

Gioiva quando gli sembrava che corrispondesse al suo sguardo, si irritava se qualcuno dei suoi compagni le usava una scortesia, digrignava i denti e grugniva minaccioso se solo il fattore si avvicinava a lei, e soprattutto malediceva quei pochi metri che lo separavano dalla felicità.

Ci provò una volta a correre da lei. Approfittando del cancello lasciato aperto all'ora della sbobba, sgaiattolò via dal recinto e si mise a correre disperatamente verso di lei.

Non la raggiunse, ma le bastonate del fattore raggiunsero lui, e lo lasciarono più morto che vivo per una settimana.

 

La campagna cominciò nuovamente ad ingiallire.

Il camion che sopraggiunse su per la salita era più grosso del camioncino del fattore e disturbò molto di più perchè si frappose prepotentemente tra la porcilaia di Virgilio e quella della sua amata, dall'altra parte del piazzale. Era vuoto.

L'autista che ne discese si mise a chiacchierare con il fattore, intercalando nella conversazione grasse risate e pacche sulle spalle.

Virgilio sentì di odiarli ai limiti della sopportazione. Con un po' di sacrificio avrebbe fatto uno sforzo e se li sarebbe mangiati vivi tutti e due a morsi piccolissimi, cominciando dai piedi.

Poi il fattore e l'autista si ritirarono in una baracca lì vicino, lasciando il camion a cuocere al sole per tutto il giorno.

Al tramonto uscirono nuovamente e si misero ad aggeggiare con dei tavoloni intorno al camion.

Virgilio osservava, preoccupato. Aveva il presentimento che questa volta  non sarebbe stata come le altre. Da quei due energumeni c'era da aspettarsi di tutto. Erano uomini.

Quando una rudimentale passerella fu pronta, il fattore e il suo compare, urlando come ossessi e aiutandosi con delle pertiche, spinsero gli occupanti della porcilaia di fronte sul camion. Toccò poi agli altri.

Quando fu il turno di Virgilio, il camion era ormai  pieno stracolmo. Il cassone fu poi chiuso con uno schianto, azzoppando due o tre sventurati nelle vicinanze,  e il camion, dopo la solita odiosa sequenza di grasse risate e tonfi sulle spalle, si avviò giù per la discesa.

Si stava facendo sera.

Virgilio impiegò un po' di tempo a riordinare le idee. Una cosa però realizzò da subito. Lei era lì con lui, senza più steccati o barriere che li separassero, finalmente insieme a lui.

Non pensò a nient'altro. Spintonando e scalciando a destra e manca in quella moltitudine spaventata e dolente, la cercò. La trovò in cima al cassone, appoggiata in silenzio alle sponde del camion. Convinse con un morso in un orecchio, un innocuo bestione che per la calca si trovava addossato a lei a farsi da parte, e le si avvicinò lentamente. Poi, con infinita dolcezza, appoggiò il grugno sul collo di lei.

Lei si strinse a lui.

Correva il camion nella notte. Da uno strappo nel telo che ricopriva il cassone,Virgilio e la sua amata, tutto osservavano. La campagna silenziosa, le rare case illuminate, le nere colline.

C'era anche un po' di luna lassù tra le stelle. Niente di speciale,  per la verità ma a loro parve meravigliosa.

Loro due soltanto, in quel mondo di favola.

Nient'altro esisteva più, la porcilaia, la sbobba, i disperati stipati nel camion.  Nemmeno il fattore e il suo odioso compare esistevano più.

 

Poi la luna cominciò a sbiadire in un cielo sempre più livido.

Il camion rallentò, girò un po' di qua e un po' di là e si fermò davanti a un edificio scalcinato.. Erano arrivati.

 

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