Porto Santo Stefano da ricordare |
Le schiacciate di Pasqua |
|
Pasqua senza schiacciate? Che idea. Come dire Natale senza presepe. Assurdo, inconcepibile. Anche irriverente verso Nostro Signore. Per non parlare della figura di fronte alle amiche e conoscenti. Con che faccia avrebbe potuto dire: “Eh, no. Quest'anno niente schiacciate di Pasqua. Troppo ammattimento” Sarebbe stata portata di bocca in bocca per tutto il paese. “Non ce l'avrei fatta - avrebbe certamente malignato qualche comare santostefanese – Nemmeno le schiacciate di Pasqua... Vedi, le persone non si conoscono mai abbastanza. E pensare che a vederla sembrava una così brava persona” Questo pensava mia madre, santostefanese pure lei. E grazie a questo ferreo convincimento, tutti gli anni sotto Pasqua, noi ragazzi di famiglia potevamo beneficiare di latte e schiacciata a colazione e a cena.
Le grandi manovre per la preparazione delle schiacciate avevano di solito inizio un bel po' prima della sacra festività, già ai primi albori della primavera, quando i mandorli all'Argentario fioriscono e ai santostefanesi "intenerisce il core”. Soprattutto prima, quando di mandorli ce n'era un po' di più e di cemento e mattoni un po' di meno. Qualche chiacchierata disinvolta, ma interessatissima, con vicini e conoscenti sulle dosi, sui tempi e sui modi, discussioni a non finire sulla lievitatura – io di notte non vado nemmeno a dormire per controllare se si muovono... il segreto della riuscita è tutto nella lievitatura... le correnti d'aria sono micidiali...io le fascio tutte con un panno di lana e le metto intorno al braciere..ecc. - erano un preliminare di rito che serviva ad una limatura, caso mai ce ne fosse ancora bisogno, della ricetta e del procedimento. Poi il giorno fatidico. Mia madre sgombrava la cucina, poneva tutti gli ingredienti a portata di mano su un mobile, accanto alla ricetta riveduta e corretta scritta su un foglio di quaderno, estraeva la spianata da sotto il tavolo e rimboccatesi le maniche dava inizio all'opera. Che generalmente durava da mattino a sera. Impasta e lascia lievitare... rimpasta e lascia lievitare... rimpasta ancora e lascia lievitare... Alla fine della giornata mia madre era sfinita ma le schiacciate facevano finalmente bella mostra di sé allineate con ordine sul tavolo, ciascuna nella sua teglia di fortuna – che poi era un tegame reperito in credenza e ritenuto idoneo all'uso. Bionde e profumate, ricoperte amorevolmente con un tovagliolo perchè non prendessero freddo, aspettavano soltanto la cottura. E qui si poneva il problema: cuocerle dove? Impensabile servirsi delle care, amatissime cucine a legna tuttofare. La cottura non sarebbe venuta bene – o bruciano o rimangono crude.. cuociono tutte da una parte.. io ci ho provato una volta, ma mi sarei messa a piangere.. - Occorreva qualcosa di più... un forno vero e proprio. Il forno dei fornai, per intendersi. Così sul far della sera tutta la famiglia - babbo e mamma davanti, ciascuno con un paio di borse contenenti le teglie con le schiacciate, da tenere rigorosamente orizzontali e senza scosse, e noi ragazzi dietro, di scorta...... - non si sa mai - si metteva in viaggio verso il forno prescelto. Alocci, Dalmazzi, Sordini, Roselli..? Dipendeva dalle prestazioni dell'anno precedente, dalla vicinanza, dall'amicizia e anche dalla cortesia dell'operatore. Era, per consuetudine familiare, il Venerdì Santo. E mentre i paesani si preparavano all'amatissima Processione con lumi e drappi colorati alle finestre, per le vie delle contrade, dal Valle alla Fortezza alla Pilarella, era un via vai di donne e di famigliole, più o meno al completo, verso i forni con le schiacciate per la cottura trasportate in borse, su portantine, carriole, carretti ...Dipendeva dal numero dei tegami, dalla fantasia e dalla disponibilità. E strada facendo saluti e commenti ad ogni incontro, in allegria... ………. Più che un forno lo si sarebbe detto un angolo d'inferno. Alla poca luce che lo rischiarava e nel caldo più asfissiante, Lucifero, accaldato e scapigliato, armeggiava incessantemente con la sua pala infilando e levando nella fornace ardente teglie, tegami e pentole di ogni genere. Ogni tanto appoggiava la pala in un angolo, si asciugava il sudore, intingeva una pennellessa da muratore in un secchio pieno di chiara d'uovo e spennellava la superficie delle schiacciate preparate per la cottura. Poi riprendeva la pala e ricominciava il suo incessante metti, rovista e leva. E tutto intorno a lui teglie, pentole e tegami nel più completo e perfetto disordine. Sul pavimento, sui ripiani accatastate l'una sull'altra fino al soffitto, nel ripostiglio delle scope e degli attrezzi, nel piccolo gabinetto lasciato opportunamente spalancato. Tra un'infornata e l'altra riceveva dai nuovi committenti bionde schiacciate da cuocere e raccomandazioni, e a quelli già serviti altre ne restituiva cotte e abbronzate in cambio di ringraziamenti e tanti auguri. E il buon profumo delle schiacciate di Pasqua si spandeva per tutta la via... All'ora prestabilita, mia madre, sempre con la famigliola al seguito, tornava a ritirare le sue creature. Uno sguardo tenero ma accurato nei tegami, un sorriso di soddisfazione, un grazie e tanti auguri. E il ritorno a casa. Finalmente.“Anche per quest'anno è fatta" "Dopodomani è Pasqua“
|
|
2008 - Capodomo - di Raul Cristoforetti
|