Un giorno di pioggia nel '700, sul Monte Argentario |
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“Che te ne pare, Fulgenzio? Nemmeno in Paradiso esiste un posto così" Seduto su una panca, con la nuca appoggiata al muro del romitorio, Paolo guardava affascinato giù nel piano lo spettacolo che uno sprazzo di sole, dopo il diluvio, offriva ai suoi occhi. “Che te ne pare?” ripeté aspettando una risposta che tardava ad arrivare. Ma Fulgenzio era altrove. Rapito dal mistico silenzio e dalla solennità del luogo, si era addormentato, accanto a Paolo, il capo reclinato sul petto, le braccia rilasciate verso terra e il bastone tra le ginocchia. C’era un limite a tutto. Una mattinata così Fulgenzio non l’avrebbe augurata al suo peggior nemico. Era cominciata ancor prima dell’alba. “Andiamo Fulgenzio, si va al romitorio sul monte”
“Al romitorio, dove?” “Sul monte” “Al romitorio sul monte - si era ripetuto tra sé il frate nell’intontimento del brusco risveglio. Con un tempo di merda come quello, che già alzarsi dal letto era uno sforzo colossale, Paolo voleva andare sul monte. A fare che cosa, poi, a quell’ora. A pregare? Ma pregare si poteva benissimo lì dov’erano. A meditare? Come sopra. A fare che cosa allora? Fulgenzio lo sapeva che ci sarebbe andato a fare lui sul monte: a sfiancarsi dall’immane fatica, a sconquassarsi il “di dietro” sul dorso di un mulo che, ricambiato, detestava, e in più, con una giornata come quella, a prendersi una sicura polmonite sotto la pioggia. “Forza, Fulgenzio. Vestiti e cammina!” E lentamente il frate si era vestito e lentamente si era incamminato dietro a Paolo. Come sempre. Ma, a dimostrazione che un po’ di pietà esiste ancora verso i mortali, almeno la polmonite gli era stata risparmiata. Il diluvio aveva pazientato fino a che i due avevano varcato la soglia del romitorio. Poi si era scatenato. Adesso però, dopo il pasto frugale, che aveva lasciato ampiamente insoddisfatto Fulgenzio, i nuvoloni, dopo aver fatto il loro dovere, si erano un po’ diradati e un pizzico di sole filtrava a rischiarare il piano: Orbetello placidamente disteso sulla sua limpida laguna, i tomboli verdi e sinuosi e, da una parte e dall’altra, il mare sconfinato. Paolo si voltò verso il compagno. Accennò una smorfia a mo' di sorriso, poi riprese, come se quello fosse desto e tutt’orecchi. “Vedi, dove io sono nato, non esisteva niente di tutto questo. Solo campi e colline, a perdita d’occhio. Non che io non ci stessi bene, intendiamoci, era la mia terra, ma laggiù, se ti guardavi intorno, non arrivavi lontano. Qui è un’altra cosa. Da questo monte puoi vedere il mondo intero… Un fragoroso tuono ritardatario interruppe Paolo e fece sobbalzare Fulgenzio sulla panca. “Buongiorno Fulgenzio, ti hanno svegliato?” “Beh... si – bofonchiò quello – oggi non è giornata..” “Stavo dicendo, caro il mio frate dormiglione, che da qui si può vedere il mondo intero, sempre che tu abbia il cuore per vedere, s’intende. Non so se te ne sei accorto, ma qui tra questi lecci e questi ornelli, con questo scenario sotto di noi, aleggia una strana magia, diciamo così ma sarebbe giusto chiamarla in un altro modo, che apre il cuore e permette di vedere lontano e di capire. Per esempio, guarda laggiù oltre quei colli all’orizzonte. Là è la Maremma, povera e malsana. Lo sai, vero? “Si” “Li vedi quegli uomini e quelle donne curvi sui campi ammazzarsi di fatica e di malaria per poter dare un futuro ai propri figli. Li vedi? E i vecchi, e i malati disperati, li vedi? Lo vedi quanti soprusi e ingiustizie devono subire…?” Paolo si stava accalorando, come sempre gli succedeva quando un argomento gli stava particolarmente a cuore. Fulgenzio, del tutto dissonnato, lo fissava tra il riverente e l’intimorito. “Veramente .. no – rispose, sperando di non contrariarlo - sai, i miei occhi non sono più quelli di una volta..” “Non parlavo degli occhi – continuò Paolo con insperata dolcezza - ma del cuore. Prova a chiudere gli occhi ed a guardare con il cuore. E’ il cuore che ti fa vedere fin dove gli occhi non arriverebbero mai, che ti fa capire quello che conta, l’essenziale…” Fulgenzio cominciava a capire. Paolo continuò. “Guarda qui sotto di noi. Cosa vedi? Fortezze, soldati in armi, opere di guerra. Lo sai che sotto le mura di Orbetello, non tantissimi anni fa, uomini di due eserciti contrapposti si sono scannati per il colore di una bandiera? Li vedi quegli uomini? Molti avevano una famiglia, dei figli. Chi penserà a loro?” “E là, su quel mare splendido dove adesso i pescatori spingono le loro vele, navi da battaglia si sono fatte a pezzi a cannonate per imporre un effimero dominio che gli anni avrebbero comunque cancellato. Li vedi quei marinai sfracellati, mutilati e sanguinanti?” “Si..” “Si può morire per una giusta causa – Cristo l’ha fatto - ma che senso ha morire così, per l’ambizione di qualche potente a cui non importa assolutamente niente né di te, né dei tuoi cari, né di quello in cui credi? Di uccidere, poi, non ne parlo nemmeno…” “E là sotto, quella Orbetello che da qui sembra galleggiare leggiadra sulle limpide acque della laguna, pensi che sia immune da ingiustizie, malvagità, sopraffazioni? Certamente no, e così ogni paese e città di queste contrade di Maremma. Sai che ti dico Fulgenzio?” “Che mi dici?” “Questa gente ha bisogno di noi. Noi siamo indispensabili” “Noi…intendi tu ed io ?” "Certo. E i tanti altri che verranno. Siamo indispensabili, non per quel che siamo, ovviamente, perché per noi siamo niente. Siamo indispensabili per il messaggio di pace, giustizia, solidarietà, fratellanza che possiamo portare. Quel messaggio che Lui ci ha lasciato." Fulgenzio si era commosso. Paolo era un po’ rompiscatole con le sue pensate estemporanee e stravaganti, questo sì, ma era certamente un grande. Un uomo su cui alitava il respiro di Dio. Si sentì orgoglioso di quel “noi” che aveva pronunciato. Orgoglioso di essere accanto a lui in quel momento. Paolo continuò. “Vedi, prima ti avevo parlato di una specie di magia che aleggia su questo monte. Avrai certamente capito che non c’è niente di magico tra questi lecci e questi ornelli che ci circondano.” “Certo che ho capito” fece il frate mentendo spudoratamente. Madonna della Presentazione (Convento di Monte Argentario)
“Ti dirò una cosa che non ho mai detto a nessuno. Me ne stavo un giorno in preghiera davanti all'immagine della Vergine, a Caldonazzo, dalle mie parti, quando ho avuto una visione: la Madonna mi si è avvicinata e mi ha detto: “Paolo, vieni all’Argentario dove sono sola” Lì per lì non ho capito bene il significato di quelle parole e, lo confesso, le ho in breve dimenticate. Poi un giorno, però, passando da queste parti, e fermatasi la nave su cui viaggiavo a Porto Ercole per una bonaccia improvvisa, quelle parole mi sono risuonate nuovamente accorate nella mente. Ho capito allora che la sosta della mia nave non era stata casuale. La Vergine mi chiedeva ancora una volta di raggiungerla su questo monte. Hai capito Fulgenzio? Qui dove noi adesso stiamo discorrendo, è passata la Vergine. Lei si è aggirata, chissà quando, tra questi lecci e questi ornelli. Lei ha visto, quello che noi stiamo guardando in questo momento." Fulgenzio ebbe quasi paura. Si guardò intorno. Che Paolo stesse adesso esagerando? Che lui sapesse, la Madonna non andava in giro per i boschi, nè tantomeno chiamava quello o quell'altro a farle compagnia... Forse Paolo aveva udito male. O forse aveva interpretato male le parole della Madonna. Anche i santi, in fin dei conti, sono esseri umani.... Paolo continuò. "Io non lascerò più questo monte. Qui fonderò un grande convento ed una chiesa che si chiamerà Chiesa della Presentazione di Maria. Uomini verranno da ogni contrada e qui passeranno i loro giorni in preghiera e meditazione. Saremo tutti una grande famiglia che avrà nome "Congregazione della Passione di Gesù Cristo". E tu Fulgenzio sarai con me."
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2008 - Capodomo - di Raul Cristoforetti
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