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L'asfodelo, un fiore dell'Argentario |
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Che l'asfodelo sia un fiore non sono in molti a saperlo. Parente povero, molto povero, del giglio, sfoggia i suoi candidi fiori, con righetta scura centrale, intorno ad una spiga in cima ad un lungo stelo più meno ramificato emergente da un ciuffo di foglie appuntite. All'Argentario è di casa. Se ne cresce beato sui prati e costoni soleggiati fregandosene della siccità e dell'indifferenza degli indigeni a tutt'altri interessi affaccendati. Un destino disgraziatissimo quello dell'asfodelo. Mentre il giglio, suo nobile parente, ha sempre goduto della massima considerazione da parte di pittori, letterati ed ecclesiastici bigotti che ne hanno fato il simbolo della purezza per fanciulle illibate, santi e martiri di ogni specie fino al vegliardo San Giuseppe dei santini, dell'asfodelo ne hanno dette e fatte di cotte e di crude sin dai tempi più remoti. Già il nome volgare con cui viene attualmente indicato, burrazzo o porraccio, è tutto dire. Hanno cominciato i greci, Omero in testa, rappresentandolo come fiore dei morti. Per loro gli Inferi erano divisi in tre parti: il Tartaro per i cattivissimi, i Campi Elisi per i buoni: sacerdoti, profeti ed eroi, quelli che pareva a loro, ed in mezzo i Campi di asfodelo per tutti gli altri, cattivi, ma solo un po'. I successori non sono stati da meno. Usavano piantarlo intorno alle tombe dei defunti per ingentilirle e confortarne gli inquilini, rappresentarlo in scene mortuarie e d'oltretomba, utilizzarlo per infusi, decotti, ecc. ad uso terapeutico, contro il malocchio, stregonerie e così via. Almeno a fin di bene l'uso alimentare che ne è stato fatto. In tempi di carestia, e sempre per i poverissimi, i tuberi del fiore, cucinati in vari modi, hanno alleviato la fame di moltitudini di derelitti.
La dizione" spirito di patata, o di rapa " è usata diffusamente. Viene così definita una battuta insulsa e poco spiritosa. Che non fa ridere, insomma. Per analogia con l'alcool, ricavato dai suddetti tuberi, che è di modesta qualità e di bassa commerciabilità. I tedeschi ne fecero ampio uso durante la seconda guerra mondiale quando la coltivazione delle vigne andò in crisi per la carenza della manodopera degli uomini in tutt'altre faccende affaccendati. Non si ha invece conoscenza che sia entrata nel lessico comune la dizione " spirito di asfodelo ", tranne forse da parte di qualcuno particolarmente colto ed esperto di botanica. Perchè, guardacaso, anche dai tuberi di asfodelo, come dalle patate e dalle rape, è stato ricavato alcool. Ci hanno pensato alcuni industriali fantasiosi verso la metà dell' 800 quando la fillossera della vite feceva strage nelle vigne d'Europa. Costoro, immaginando chissà quali profitti, impiantarono in più parti del continente qualche piccola industria in cui si ricavava alcool dalla distillazione dei tuberi dell'asfodelo.
Tale pianta, dal grazioso fiore bianco con righetta scura centrale (ma ne esistono varietà di diverso colore), si trasformò così da fiore dei morti in fiore degli alcolizzati, quelli poverissimi che non potevano permettersi alcool di prima qualità. Disgraziati che poi generalmente in breve tempo andavano a ricadere nella prima categoria. Anche all'Argentario ci fu un industriale che realizzò un'industria di tal tipo. Pare si chiamasse Natale Poidebard, evidentemente non indigeno. Correva l'anno 1845 e il luogo prescelto era il Valle, tra la darsena e il colle dei muracci. La piccola industria andò avanti per una trentina d'anni con magri profitti, fino a quando la fillossera fu sconfitta e le vigne dell'Argentario cominciarono a rifiorire. La piccola industria fu riconvertita ed ingrandita da un altro proprietario, anch'egli non indigeno, Federico Pollette della Rochelle. Si passò dai tuberi di asfodelo alle sardine, che con la fillossera non avevano niente a che vedere.
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2008 - Capodomo - di Raul Cristoforetti |