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Una torre, quattro case, una chiesetta |
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Una torre, quattro case, una chiesetta... Così è rappresentato Porto Santo Stefano nella mappa "Assedio di Orbetello" di Jacques Lagniet del 1646. Una rappresentazione sicuramente simbolica e un po' inventata, ma pur sempre indicativa di quello che allora esisteva là dove adesso sorge il paese. Governatore dei Presidi era in quel tempo Don Pedro de la Puente, valente uomo di guerra che nella circostanza a cui la mappa si riferisce passava i suoi giorni a raccomandarsi al generale Carlo della Gatta affinchè respingesse i francesi che volevano rubare Orbetello a lui e alla Corona di Spagna. Una quarantina di anni prima un altro governatore, Nunes Orejon de Avila, aveva invece trovato modo e tempo di dedicarsi alla "felicità" dei suoi sudditi. In particolare, poichè era affascinato dal tratto di costa dell'Argentario dirimpettaio di Talamone e lo addolorava il vedere coloro vi dimoravano in uno stato così disagiato e miserevole, vi aveva fatto eseguire, tra la Cetina e Lividonia, alcune opere per renderlo più sicuro e confortevole. E per i posteri aveva commissionato una lapide a suo imperituro ricordo, rappresentata nelle Memorie istoriche dell'antico e moderno Talamone di F. Carchidio.
Quando la mappa di Lagniet fu disegnata, che la torre ci fosse non ci sono dubbi. Era la Fortezza Spagnola, la cui costruzione era terminata da poco.
Scandalizzato che a guardia di quella baia ci fosse soltanto una torretta da niente, il bravo Nunes, ossessionato dai corsari saraceni che gli sbucavano da tutte le parti, si impegnò attivamente per la costruzione, forse già avviata dai suoi predecessori, di una un po' più dignitosa che li tenesse alla larga. La Fortezza per l'appunto. E siccome era di animo gentile e nostalgico fece anche impiantare nelle vicinanze un giardino di aranci che gli ricordasse la sua Avila. La Fortezza avrebbe dovuto essere, nelle intenzioni del governatore, il terrore dei corsari e dei nemici, ma i francesi giunti qualche anno dopo con una bella flotta ed intenzioni non turistiche, con quattro cannonate la espugnarono. Con gran dispiacere del comandante della guarnigione Bartolomeo Fles, che in quell'occasione perse la vita. Un paese vero e proprio non c'era, ma qualche costruzione certamente si. Le tartane dei pescatori e dei commercianti ogni tanto si fermavano all'approdo per scaricare il loro pescato o caricare legna e carbone proveniente dai boschi dell'Argentario. C'erano poi le guarnigioni della Fortezza e delle torri che dovevano essere periodicamente rifornite di derrate e altro materiale. Qualche magazzino era indispensabile, ed anche un posto attrezzato alla meglio per le riparazioni d'emergenza. E qualche casa alla buona c'era di sicuro per quei pochi che trovavano sul posto le risorse per il proprio vivere, per qualche soldato della guarnigione bisognoso di un po' di calore domestico e per qualche pescatore, stagionale o stanziale, che aveva preferito non rinunciare all'aiuto prezioso della famiglia. E tra quelle case ce n'era di sicuro una più grande e molto frequentata dove marinai e soldati potessero trovare ristoro e sollazzo con qualche boccale di vino e un po' di compagnia in gonnella, dopo l'amara solitudine sul mare e nelle torri circostanti. Anche a giovamento delle altre poche donne che senza argomenti quotidiani di pettegolezzo sarebbero entrate in paranoia. Insomma, un minimo di comunità, quasi un villaggio, su quel tratto di costa in fondo alla baia c'era di sicuro. E c'era una chiesetta, forse costruita su una cappella preesistente (°), dedicata a Santo Stefano che il buon governatore aveva posto, come di dovere, in cima all'elenco delle opere da realizzare. Indispensabile agli uomini per andarvi la mattina a chiedere perdono dopo i bagordi della notte ed alle donne per implorare qualche grazia per un futuro migliore. Una chiesetta da niente per peccati da niente di povera gente, che già con il proprio vivere espiava quotidianamente le proprie colpe, se mai ne avesse avute. Una chiesa però importante perché dal santo a cui era dedicata il futuro paese avrebbe preso il nome. Una torre, quattro case e una chiesetta... Il paese non c'era ancora, ma gli ingredienti erano tutti lì.
(°) Girolamo Brusoni: Historia d'Italia
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2008 - Capodomo - di Raul Cristoforetti |