Monte Argentario

Monte Argentario, si sa, è un monte in mezzo al mare ancorato alla terraferma da due bretelle sabbiose, la Giannella e la Feniglia. Un bel monte mediterraneo come tanti che sarebbe rimasto anonimo se non fosse stato per le splendide scogliere, le baie e le spiaggette sassose che i suoi ripidi pendii formano a mare. Delizia di chi possiede una barca per conquistarle e croce di chi una barca non ce l'ha.

Raggiungere via terra quelle scogliere e quelle spiaggette è infatti quasi un’impresa da scalatori. Sentierini stretti e scoscesi scendono giù dalla Strada Panoramica serpeggiando nella macchia, avventurandosi su costoni rocciosi, precipitando per ripide rustiche scalinate per arrivare infine all’agognato mare. Che normalmente il bagnante pellegrino non può mai godersi appieno al pensiero angosciante del ritorno.

A chi difetta il senso dell'avventura e lo spirito di sacrificio non rimane che contemplare quella grazia di Dio da lontano, il che sarebbe anche gratificante se non fosse per l'invidia rovente verso coloro che possono godersela da vicino. 

Port’Ercole e Porto Santo Stefano son i due paesi che il Monte ospita, a debita distanza l’uno dall’altro, come è bene che sempre sia per il quieto vivere degli indigeni.

Due paesi che sanno di essere diversi e fanno di tutto per dimostrarlo.

Piccolo e con tanta storia alle spalle, fiero delle fortezze esagerate che lo sovrastano, orgoglioso di aver dato al povero Caravaggio, che ne avrebbe fatto volentieri a meno, un posto per morire, con un po’ di puzza al naso per il turismo d’elite e nobiliare che lo frequenta, Port’Ercole se ne sta sonnacchioso nel suo angolo di monte guardando con distacco panfili e yacht che vanno e vengono da Cala Galera.

Porto Santo Stefano, venuto al mondo molto dopo e con le origini plebee dei pescatori emigranti, trabocca vitalità da ogni angolo di strada e da ogni finestra. Si arrampica sempre di più sulle pendici del Monte, sgomita a destra e a sinistra in cerca di nuovi spazi.

Dai suoi porticcioli barche e navigli di vario genere sciamano per ogni dove tra spume d'onda e rombi di motore. In agosto la frenesia dilaga. A ferragosto raggiunge il parossismo.

Monte Argentario era un’isola fino a metà del secolo scorso. Non per gli istmi sabbiosi che c’erano anche prima da un bel pezzo, ma semplicemente perché era di quelli che vi erano nati e che lì quasi certamente avrebbero trascorso la vita..

Era gente semplice e generosa.

Quelli del continente erano lontani. Abitavano laggiù, su quella striscia di terra che si vedeva in lontananza, da dove il grecale prendeva la rincorsa per venire a far baruffa nei suoi porti. D’estate venivano a godersi il sole, il mare e il profumo del mirto e del rosmarino, ma erano pochi e con un concetto antico dell'ospitalità. E ai primi d’autunno se ne tornavano a casa.

Poi la grande colonizzazione turistica sconvolse ogni cosa. Gli abitanti cominciarono a vendere i loro poderi ai VIP bisognosi di una casetta con piscina sulla scogliera e il pesce ai grossisti che lo portassero nelle pescherie delle metropoli. Si sono arricchiti.

L’Argentario però si è impoverito. I suoi verdi pendii, le scogliere, le spiagge sono state troppo spesso deturpati da costruzioni scriteriate e insulse privatizzazioni.

Il cuore della gente s’è rimpiccolito.

I vecchi ricordano…

A Porto Santo Stefano le processioni del Venerdì Santo e dell’Assunzione erano le più belle.

Già dal tardo pomeriggio in paese si respirava l’attesa.

Quando poi dopocena il serpentone cominciava a snodarsi per le vie, tra ceri accesi e coperte ricamate distese alle finestre, il paese si fermava in silenzio, quasi trattenendo il respiro. E il canto dolcissimo delle pie donne si spandeva giù fino al mare, dal Valle alla Pilarella, risaliva per San Pietro e il Pispino su fino al monte. Raggiungeva le stelle.